Istantanea Pier Vittorio Buffa

Lesa democrazia

"Non mi sono costituito parte lesa nel processo contro Silvio Berlusconi perché ritengo sia stata lesa la democrazia, non la mia persona".

Così ha detto Romano Prodi dopo la condanna a tre anni inflitta in primo grado a Berlusconi per aver "comprato senatori".

Una frase potente che, da sola, sintetizza quello che è accaduto in Italia durante il cosiddetto "ventennio berlusconiano".

La si può interpretare così: la somma degli atti che hanno portato Silvio Berlusconi davanti a più tribunali italiani, e di cui la corruzione di senatori è quello politicamente più grave, non restituisce solo un insieme di persone o istituzioni danneggiate. Ma restituisce, soprattutto, una profonda ferita nel tessuto democratico del nostro paese.

Solo avendo piena coscienza di questa profonda ferita si può davvero capire il nostro più recente passato e mettere in campo gli anticorpi necessari a guarirla. Ma per ora, di anticorpi, ne vedo ancora pochi, troppo pochi.

Tortura, Salvini dice il falso

salviniMi sono preso qualche giorno prima di commentare quel che ha detto il segretario della Lega Matteo Salvini a proposito del reato di tortura. E' un tema che mi sta particolarmente a cuore e di cui mi occupo da anni, volevo evitare reazioni a caldo e fine a se stesse.

 

Salvini a Pontida, al raduno della Lega, ha detto:

"Polizia e carabinieri torneranno a fare polizia e carabinieri, senza timore di essere denunciati dallo spacciatore di turno perché un parlamento che approva il cosiddetto reato di tortura per impedire agli uomini delle forze dell’ordine di lavorare è un parlamento che sta coi ladri e con i delinquenti".

Poi il 25 giugno, davanti ai poliziotti del sindacato autonomo di polizia, il Sap, che manifestavano contro la legge sulla tortura in discussione al Senato, ha precisato:

 "La legge sul reato di tortura è sbagliata e pericolosa, espone i poliziotti e i carabinieri al ricatto. Se poi un delinquente lo devo prendere per il collo e si sbuccia il ginocchio...cazzi suoi".

Il disegno di legge in questione, la cui approvazione è stata sollecitata dalla Corte europea di Strasburgo, stabilisce, nella versione attualmente all'esame del Senato:

"Chiunque, con violenza o minaccia ovvero con violazione dei propri obblighi di protezione, di cura o di assistenza, intenzionalmente cagiona ad una persona a lui affidata, o comunque sottoposta alla sua autorità, vigilanza o custodia, acute sofferenze fisiche o psichiche al fine di ottenere, da essa o da un terzo, informazioni o dichiarazioni o di infliggere una punizione o di vincere una resistenza, ovvero in ragione dell'appartenenza etnica, dell'orientamento sessuale o delle opinioni politiche o religiose, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni.

Se i fatti di cui al primo comma sono commessi da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, si applica la pena della reclusione da cinque a quindici anni".

Ai fini dell'applicazione del primo e del secondo comma, la sofferenza deve essere ulteriore rispetto a quella che deriva dall'esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti".

 

Verrebbe da urlare contro la volgarità delle affermazioni di Salvini e la distorta interpretazione della norma in discussione.

Meglio, però, alcune pacate considerazioni.

  • Dice Salvini: questa legge, una volta approvata, impedirebbe "agli uomini delle forze dell’ordine di lavorare". Falso. Questa legge, parlando solo delle forze dell'ordine, impedirebbe a chi veste una divisa di abusare del proprio potere. Di picchiare un fermato per farlo parlare o di legarlo a un termosifone, o di insultarlo... E siccome ciascuno di noi può essere fermato e portato in una caserma, anche per errore, questa legge ci proteggerebbe un po' di più verso eventuali abusi nei nostri confronti. Polizia e carabinieri non devono "lavorare" rompendo ossa o maltrattando o anche, come è successo, uccidendo. Non in un paese democratico, non nel "mio" paese.
  • Dice Salvini:  "Un parlamento che approva il cosiddetto reato di tortura ... è un parlamento che sta coi ladri e con i delinquenti". Falso. E' un parlamento che sta con i cittadini e con i poliziotti onesti. E' un parlamento che difende tutti dai delinquenti che abusano del potere datogli dallo Stato.
  • Dice Salvini: questa legge "espone i poliziotti e i carabinieri al ricatto". Falso. E' ricattabile chi sbaglia, non chi compie il proprio dovere rispettando le leggi. Ma se "ricatto" per Salvini vuol dire che io, fermato, posso dire che l'occhio nero me lo ha fatto un poliziotto e non il gradino su cui sono andato a sbattere da solo, allora ben venga il "ricatto secondo Salvini".
  • Dice Salvini: "Se poi un delinquente lo devo prendere per il collo e si sbuccia il ginocchio...cazzi suoi". Distorta interpretazione della legge. Se nello scontro fisico talvolta inevitabile nell'esecuzione di un arresto o di un fermo qualcuno si dovesse "accidentalmente" far male sembra di poter dire che il terzo comma escluda abbastanza esplicitamente il reato di tortura.

 

 

 

Risanare e mettere mattoni

ruspa

La ruspa ha avuto grande successo a Pontida, al raduno della Lega. Evocata dal segretario Matteo Salvini, stampata sulla maglietta che, insieme agli altri, indossava lui stesso.

Invocare la ruspa contro Renzi, contro i rom, contro tutto quello che secondo i leghisti non va, è sicuramente di grande efficacia. E' un concetto semplice, immediatamente comprensibile. Distruggere per ricostruire quello che vogliamo noi. Più semplice di così.

Ed è per questo, per la sua semplicità, che va combattuto.

Una democrazia come la nostra non va spianata per costruirne un'altra. In mezzo a tutto quello che fa giustamente salire la rabbia degli italiani ci sono imponenti fondamenta e robusti mattoni che consentono di continuare a costruire. Risanando, ristrutturando, aggiustando, non spianando.

Per trovare i robusti mattoni non serve nemmeno andare lontano nel tempo o invocare i padri costituenti. Basta scorrere le cronache di questi giorni e fermarsi a leggere con attenzione quello che è successo, per esempio, a Casal di Principe. Non omicidi o intimidazioni, non retate di boss di camorra. Ma l'apertura di una importante mostra davanti a un uomo coraggioso come Roberto Saviano. Ha detto a Repubblica Federico Cafiero de Raho, il magistrato che iniziò le indagini sui casalesi: "Mi vengono i brividi a leggere di Casal di Principe non per stragi o loschi affari, ma per una mostra, mi ripaga di ogni sacrificio fatto e mi apre il cuore alla speranza, concreta, di un futuro senza ombre".

Ecco, qui, come in tante altre città e palazzi d'Italia, non c'è da spianare, ma c'è da risanare e continuare a mettere mattoni.

 

Buona legge, buona notizia

Oggi è arrivata una buona notizia: il Senato ha approvato la legge sull'omicidio stradale che adesso dovrà passare all'esame della Camera. Mettersi alla guida ubriachi o sotto effetto di droghe verrà, se si fa del male, duramente sanzionato. Anni e anni di reclusione, arresto obbligatorio in flagranza se si uccide, trent'anni senza patente e via dicendo.

La buona notizia è tutta qui: l'approvazione di una legge che cerca di difendere i cittadini da comportamenti asociali e gravemente lesivi dei diritti di tutti. Una legge che raccoglie le grida forti, ma impotenti, di chi si è visto portar via una persona cara da una macchina che sfrecciava praticamente senza controllo.

Certo, non basta una legge a cancellare omicidi stradali e guide in stato di ebbrezza e ci vorrà tempo per valutare concretamente gli effetti di una norma come questa. Statistiche, raffronti, percentuali...

Ma penso che ciascuno di noi possa tranquillamente inserire il voto di oggi tra le buone notizie anche solo se, come sicuramente sarà, le nuove regole inducessero qualche migliaio di persone in un anno a non mettersi alla guida ubriache.

 

Uno su due

Alcune riflessioni a caldo, a risultati elettorali non ancora definitivi, ma sufficientemente chiari.

  • Un partito democratico al 22-24 per cento, al netto di tutti i ragionamenti possibili, sta lì a dire che la politica muscolare di Matteo Renzi, o con me o con me, non ha pagato. Decidere e andare avanti comunque, in politica, ha un suo valore. Ma decidere e andare avanti comunque, a prescindere dagli effetti che questo ha sul consenso, può essere pericoloso. L'arte di allargare la propria influenza passa anche attraverso la faticosa e umile ricerca di punti di mediazione condivisibili. E farlo senza ritardare l'azione di governo è, appunto, un'arte raffinata.
  • I buoni risultati di Cinque stelle e Lega dimostrano, se mai ce ne fosse bisogno, la complessità degli stati d'animo che attraversano il paese. E come tutto questo sia in contrasto con la riforma elettorale che sta per diventare legge e che consegnerebbe tutto il potere a un unico partito. Partendo dai risultati del 31 maggio, questo partito potrebbe essere un Pd che, con il suo 22-24 per cento di partenza, vincesse al ballottaggio con i Cinque stelle.
  • Ma è il crollo dell'affluenza alle urne (è andato a votare un italiano su due) il dato che più dovrebbe preoccupare. Ma preoccupare davvero. Vediamo se nei prossimi giorni si parlerà più di questo o di "spaccature", "divisioni", "rese di conti"...

"Non ho ucciso"

De MariaE' da poco passato il minuto di silenzio che ha attraversato tutto il paese in ricordo delle vittime della Prima guerra mondiale. E da poche ore papa Francesco, ripetendo le parole del suo predecessore Benedetto XV, ha definito quella guerra "un'inutile strage".

Condivido entrambi gli stati d'animo che questi due momenti suggeriscono.

Il profondo rispetto per chi ha dato la propria vita e per le sofferenze di quegli anni.

Il giudizio politico profondamente negativo sulla guerra come mezzo per risolvere le questioni tra Stati.

Proprio per questo voglio oggi proporre una breve lettura tratta da uno delle centinaia di documenti autobiografici conservati dall'Archivio diaristico di Pieve Santo Stefano. Una lettura che dona a tutti noi un sorriso. E anche, perché no, una speranza per un futuro senza guerre.

Un soldato di allora, il diciottenne Antonio De Maria, un ragazzo del 99, è schierato lungo il Piave. E' di guardia e ha nel mirino un "nemico", un austriaco. Il dito è sul grilletto, sta per sparare. Poi, scrive, "mi sorpresi a rimettere la sicura e a togliere il fucile dalla feritoia".

Antonio non spara, non toglie la vita al suo coetaneo biondo che indossa un'altra divisa. E non riesce a spiegarsi il perché del suo gesto. "Perché non ho sparato? Era giusto, è giusto che spari. È la guerra, sono i nemici, devo ucciderli. Perché non l’ho fatto? Che cosa è successo? Pietà per lui, per il suo riso gioioso, per la sua giovinezza, per il suo amore per la vita? Perché ho abbassato il fucile?"

Qui il racconto completo di Antonio De Maria

 

Nessuna delega in bianco

La legge elettorale fortemente voluta dal governo di Matteo Renzi non è la migliore delle leggi possibili. E' frutto di numerosi compromessi e consegna solo in parte, agli elettori, la vera scelta dei propri rappresentanti. Ma ha una qualità che in Italia inseguiamo da sempre. Allo spoglio dell'ultima scheda del primo turno o dell'eventuale ballottaggio sapremo con certezza chi guiderà il paese per i successivi cinque anni. Avremo così un presidente del Consiglio che, di fatto, sarà eletto direttamente dal popolo e che, proprio da questa investitura, trarrà la sua forza maggiore.

Una legge elettorale, quindi, che incide profondamente sulla forma di governo e quindi sul delicato sistema di equilibrio tra poteri dello Stato. L'esperienza delle democrazie occidentali insegna che più aumenta il potere consegnato all'esecutivo e alla maggioranza che lo sostiene, più deve aumentare il sistema di contrappesi e garanzie. Non per ostacolare l'azione di governo ma per tenerla nei giusti binari delle regole democratiche. La delega in bianco a governare, in democrazia, non la si consegna a nessuno.

Per questo la partita cruciale sul nostro futuro si giocherà intorno alla complessa riforma costituzionale che, tra le altre cose, abolisce il bicameralismo perfetto e il Senato elettivo. E' in quella sede che dovrebbe prendere corpo un riequilibrio tra poteri che, nel testo licenziato dalla Camera, non c'è.

Qualche esempio per capirsi.

  • Un Senato composto da senatori a mezzo tempo (dovrebbero essere consiglieri regionali e sindaci) non potrà avere lo stesso impegno di un ugual numero di senatori a tempo pieno, magari eletti con un sistema proporzionale puro per garantire una rappresentanza completa e omogenea. E per non spendere di più si potrebbe ridurre il numero dei componenti della Camera: se cento sono i senatori eletti, cento deputati in meno.
  • Un Senato così composto (o anche quello non elettivo, ma sicuramente in modo meno efficace) dovrebbe essere di dotato di poteri più incisivi su almeno due questioni: la nomina dei giudici costituzionali (il testo attuale prevede che il Senato ne possa nominare solo due su quindici) e il potere di inchiesta (fino a oggi limitato alle sole questioni "concernenti le autonomie territoriali").
  • L'elezione del presidente della Repubblica, che rappresenta l'unità nazionale ed è il massimo organo di garanzia del paese, dovrebbe avvenire su una base  più larga di quella attualmente prevista (seicentotrenta deputati la cui forte maggioranza sarà di un unico partito e cento senatori) proprio per evitare che una maggioranza formatasi attraverso un generoso premio si aggiudichi anche la massima carica dello Stato.

 

Possono sembrare ritocchi secondari. Interventi di questi tipo sono invece essenziali per creare un  efficiente ma equilibrato assetto istituzionale.

Se cambia una parola

innoHo avuto un solo sorriso nel seguire la giornata nera di Milano e nel leggerne le cronache. Quella parola cambiata all'inno nazionale, quel "siam pronti alla morte" che, cantato dai bambini, è diventato "siam pronti alla vita".

Nulla di importante, per carità. E nulla di sostanziale.

Ma è come se quella parola, "vita" al posto di "morte", avesse dato vigore a un inno  più volte messo in discussione, lo avesse reso attuale, lo avesse posto al centro di un nuovo modo di concepire se stessi e la propria comunità, avesse consegnato a lui il compito di spingere tutti noi verso un bel futuro.

E poi cantare "siam pronti alla vita", a ben pensarci, non è in contraddizione con il "siam pronti alla morte". Chi davvero vuole una vita libera non può che essere pronto a volerla a tutti i costi, anche mettendola in gioco, anche rischiando la morte per averla.

Allora, per quel che mi riguarda, e per quel poco che può contare, io da ora, se mi capiterà, canterò l'inno come i bambini dell'Expo. Un piccolo gesto di speranza per tutti noi.

I tweet del 25 aprile

Repubblica mi ha chiesto un lavoro diverso dal solito. Immaginare di essere un giornalista milanese che il 25 aprile 1945 è incaricato di seguire la giornata e raccontarla. Ma di raccontarla con i mezzi e i linguaggi di oggi, con una diretta twitter. Io mi sono immerso nelle cronache di quel giorno, ho scorso le ore, mi sono soffermato sui singoli episodi, mi sono emozionato. E le mie emozioni ho cercato di trasmetterle con una cinquantina di tweet che Repubblica pubblica, cadenzati, nella giornata di oggi.

Eccolo

25aprile

 

Qui tutti i tweet in ordine cronologico

Un'inchiesta che indigna

espresso-gattiL'Espresso di questa settimana dedica la sua copertina e il servizio di apertura a un'inchiesta molto particolare di Fabrizio Gatti. Il giornalista, autore di molti lavori diretti e forti come questo, dimostra come sia facile, anzi, facilissimo, entrare in un aeroporto a pochi minuti di volo dall'Expo, salire su un aereo incustodito, decollare e lanciarsi sui padiglioni che stanno per essere inaugurati.
Catastrofismo? Scandalismo? Provocazione gratuita?
No, solo buon giornalismo. Giornalismo che individua i problemi, li studia, ne verifica meticolosamente ogni sfaccettatura e sottopone i risultati all'opinione pubblica e a chi deve trovare soluzioni.
Forse se a un giornalista fosse venuto in mente di fare un lavoro simile al tribunale di Milano ci si sarebbe accorti per tempo delle terribili falle della sicurezza. E questo solo per citare uno degli esempi più recenti.
In una comunità sana e dinamica adesso dovrebbe scattare una reazione immediata a quello che L'Espresso e Gatti hanno denunciato. La messa in sicurezza dell'aeroporto di Bresso e una verifica approfondita su tutto quello che può mettere in pericolo l'evento planetario che sta per iniziare alle porte di Milano.
In tutto questo, però, c'è una cosa che indigna e mette paura. Com'è possibile che controllare la sicurezza degli aeroporti venga in mente a un giornale e non a chi alla sicurezza dovrebbe provvedere?

Qui un'anticipazione dell'inchiesta pubblicata sull'Espreso in edicola

Tortura, cosa serve ancora?

tortura_espressoCosa serve ancora perché il Parlamento italiano vari una legge che punisca una delle pratiche più terribili che uomini dello Stato possano mettere in atto?

Cosa serve ancora perché in Italia la tortura diventi un reato e che sia espressamente vietata e punita?

La Corte europea di Strasburgo ha fissato due concetti essenziali: quello che accadde alla scuola Diaz di Genova nel 2001 fu tortura, l'Italia non ha una legislazione adeguata che la punisca. Il nostro paese, in sostanza, viola l'articolo 3 della convenzione sui diritti dell'uomo: "Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti".

Il tema della tortura entra ed esce dal dibattito politico della Repubblica italiana da più di trent'anni. Dai tempi del terrorismo quando, in alcuni casi, la si usò contro i brigatisti arrestati per indurli a parlare. Il momento più drammatico fu nel 1982, dopo la liberazione del generale americano James Lee Dozier. La tortura, o le maniere forti, vennero programmate e decise dai vertici del ministero degli Interni. Io lo scrissi e finii in prigione per un paio di giorni. L'Espresso, il giornale per il quale lavoravo, dedicò alla tortura una famosa copertina (qui sopra). Ma nulla accadde, i responsabili non pagarono, di legge non se ne parlò più. Poi, dopo trent'anni esatti, un funzionario che era presente alle torture, Salvatore Genova, ha raccontato tutto: le sevizie sessuali, la tortura dell'acqua...

Da allora i casi denunciati sono stati decine. Dalle percosse in caserma alle morti di uomini fermati o arrestati (uno fra tutti il caso Aldrovandi). Qui una ricostruzione dettagliata di Lettera 43.

Cosa serve ancora perché la legge che giace in Parlamento venga discussa e approvata?

Cosa serve ancora per dichiarare che una persona che è sotto il controllo di un uomo dello Stato non deve essere picchiata, malmenata, torturata, uccisa? E' un principio su cui c'è bisogno di discutere? Se c'è un deputato o un senatore che lo vuole mettere in discussione alzi la mano e dica perché non vorrebbe una legge del genere. Se nessuno lo fa che il testo venga approvato nel minor tempo possibile.

 

Forza Schwazer, Forza Donati

donati-schwazerC'è una notizia dei giorni scorsi che non ha avuto , a mio avviso, la rilevanza che meritava. L'ex campione olimpionico di marcia Alex Schwazer, squalificato per doping, ha chiesto e ottenuto di essere allenato da Sandro Donati, l'uomo che ha fatto dell'antidoping una ragione di vita. Forse è sembrata una notizia di nicchia, riservata agli appassionati di atletica. O, ancora, solo un tentativo di riscatto di uomini persi per sempre.

Invece la nascita del binomio Schwazer-Donati. è una notizia possente. Di quelle che vanno ben lette e ricordate.

Sandro Donati lo conosco bene, da molti anni. E' stato a lui a farmi capire come un atleta dopato non costituisca un problema solo per se stesso o per i dirigenti della sua disciplina. Un atleta che modifica artificialmente il proprio fisico è un qualcosa capace di corrompere generazioni, di distruggere i principi della sana competizione sportiva,  di diventare una specie di cancro che si muove silenzioso nelle comunità. Non a caso Libera, l'associazione contro le mafie, ha una sezione che si chiama Libera sport, di cui Sandro Donati è grande animatore.

Accettando la richiesta di Schwazer , Donati vuole cercare di dimostrare che quella del doping è una strada che si può abbandonare per tornare a essere se stessi, per cercare di vincere solo con la fatica, l'allenamento e la volontà. E' come dire a migliaia di ragazzi: si può smettere e si può anche vincere senza droghe.

Chiedendo a Donati di "prenderlo in carico", Schwazer cerca di dimostrare, prima di tutto a se stesso, che quella del doping è stata una terribile parentesi della sua vita e che lui vuol vincere contando solo sulle proprie energie.

Se ci dovesse riuscire, se dovesse vincere o anche fare una prestazione di alto livello, costruirà un'arma di grande potenza per combattere la droga nello sport.

E' per questo che dovremmo tutti gridare, come fossimo su un  bella e gremita gradinata, "Forza Schwazer, Forza Donati".

 

Uno slogan sfortunato

La piazza, si sa, richiede frasi secche e slogan forti.

La piazza, si sa, vuole essere stimolata ed eccitata.

Però dire che Matteo Renzi è peggio di Silvio Berlusconi, come ha detto Maurizio Landini a Roma è, semplicemente, un'affermazione falsa. E anche pericolosa.

Falsa perché oggi Renzi (con i suoi eccessi, il suo personalismo, i suoi errori e, anche, con l'antipatia che suscita in molti) sa comunque di buono. E forse, di lui, si percepisce soprattutto il buono proprio perché è entrato a palazzo Chigi dopo vent'anni di berlusconismo (e di sinistra inconcludente). Qualche volta, è vero, Renzi ricorda, Berlusconi. Per la ricerca continua della chiarezza comunicativa, per l'egocentrismo, per l'ansia da prestazione... Ma Berlusconi non era solo questo. Le sue non riforme hanno portato il paese sull'orlo del baratro. La "cultura" diffusa dai suoi comportamenti e dalle sue aziende ha nuovamente sdoganato furbi e furbetti, corrotto in modo duraturo e sottile interi pezzi di generazioni, ricacciato indietro quel che di positivo c'era da raccogliere dopo gli anni di Mani pulite. Qualcuno può obiettivamente sostenere che Renzi stia facendo qualcosa del genere? Penso proprio di no perché sta andando in una direzione esattamente opposta.E non c'è bisogno di essere "renziani" per esserne convinti.

L'affermazione che Renzi è peggio di Berlusconi è poi pericolosa perché rischia di costruire uno dei pilastri di Coalizione socialei sulla sabbia dell'essere "contro" e dell'anatema, sabbia sulla quale la sinistra italiana si è arenata non so quante volte.

Speriamo quindi che quello di Landini resti lo slogan sfortunato di un bel sabato. Si, bello. Perché quando le strade si riempiono di persone che vogliono vivere meglio e lo dicono con civiltà e con forza ne hanno tutti da guadagnare.

Anche Matteo Renzi

Vivere in pace

Le immagini della manifestazione di Tunisi contro il terrorismo dovrebbero farci riflettere. Così come dovrebbe farlo il video che ha mostrato al mondo i deputati tunisini che, chiusi in parlamento durante l'attacco, cantano l'inno nazionale.

La riflessione è semplice, al limite della banalità. Ma diretta e forte. Il mondo non si sta dividendo tra arabi e non arabi. Ma si sta dividendo tra chi vuole imporre la legge del terrore e chi vuole vivere in pace.

E chi vuole vivere in pace deve difendere questo suo diritto. Non stando a guardare o chiudendosi in casa. Ma combattendo contro chi lo vuole sopprimere.
No, nessuna crociata, per carità. Ma vedere organismi elefantiaci come le Nazioni Unite restare immobili a condannare solo a parole fa venir voglia di chiederne l'abolizione. E viene anche voglia di andare a Bruxelles e dire: "Ma l'avete capito che l'Europa è sotto attacco perché sanno che non è capace di reagire con decisione? L'avete capito che le nostre frontiere meridionali non sono più in mezzo al mare ma sono in Africa? L'avete capito che i nostri alleati sono quei tunisini che sono andati in piazza e tutti coloro che vogliono vivere in pace?".
Post scriptum. Quando ho visto le foto della strage di Sana'a, nello Yemen, ho pensato ai ragazzini e alle ragazzine che avevo conosciuto in quel paese una decina di anni fa. E ai giovani uomini che avevano negli occhi il desiderio di vivere liberi e in pace, che stavano cercando di affacciarsi al mondo, di portare i prodotti della loro patria nelle capitali, di tenere lontano dalle loro vite il terrore. A tutti loro dedico una foto di allora.
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Le nostre Selma

"Il lavoro non è terminato, la marcia non è ancora finita". Così ha detto il presidente statunitense Barack Obama a Selma, in Alabama, celebrando i 50 anni della marcia per i diritti civili.

Noi, europei e italiani, non abbiamo una nostra Selma da ricordare con tanta intensità. Ma ne abbiamo tante, di Selma, dagli anni Quaranta in poi. Battaglie iniziate e mai terminate, battaglie vinte e poi tradite, battaglie non più combattute. Ciascuno di noi, forse, ha la propria o le proprie Selma. Momenti cruciali che hanno determinato la vita della nostra comunità che oggi, però, ci fanno dire:  "Il lavoro non è terminato, la marcia non è ancora finita". Provo a dire tre delle mie Selma.

La prima ce l'ha lasciata la generazione che è passata attraverso l'ultima guerra mondiale e che ha visto quegli orrori, che ha combattuto per liberarsi. Moltissimi dei valori  per i quali allora si moriva si sono affermati. Ma il "lavoro non è terminato" perché violenza e discriminazioni sono ancora tra noi, i fascismi sono in perenne agguato.

La seconda è la cruenta battaglia per vivere in un mondo senza ladri e sopraffattori, governato da uomini "di servizio" e non "di potere". Sembra pura retorica. Ma negli anni Settanta era questa, in molti pezzi d'Italia, la vera aspirazione. Viveva in più partiti, metteva insieme giovani e meno giovani, dava spinta e coraggio. Tanti scontri sono stati vinti, tanti, troppi, sono stati persi e la battaglia è ancora maledettamente aperta. "Il lavoro non è terminato", proprio no.

La terza battaglia è forse quella iniziata più recentemente, ma terribile. Il suo simbolo è una di quelle barche che cercano di arrivare in Europa da Sud, piene di uomini, donne e bambini che cercano di vivere. Per quelli che ce la fanno, che non restano per sempre in mare, c'è, in Italia, un mondo migliore di quello che avrebbero trovato qualche decennio fa. Ma non è il mondo che dovrebbe essere, quello che molti di noi vorrebbero. Altrimenti non accadrebbe nemmeno quello che è accaduto a Bologna nei giorni scorsi.

"Il lavoro non è terminato", no, proprio non è terminato.