Istantanea Pier Vittorio Buffa

Manconi, una cartina al tornasole

Cannabis: presentato Ddl per legalizzazione a fini terapeuticiAlla fine della "guerra delle candidature" del Pd i numeri sembrano abbastanza chiari: secondo calcoli e previsioni ai renziani dovrebbero andare più dei due terzi del pattuglione di deputati. Un risultato raggiunto "facendo fuori" persone che alla sinistra e al paese hanno dato non poco. E molto ancora potrebbero dare.

Un esempio per tutti: l'esclusione di Luigi Manconi.

Non c'è una sola ragione al mondo perché un partito come il Pd non abbia sentito il dovere civile e politico di ricandidare un uomo come lui.

Manconi, per chi non lo avesse chiaro, è impegnato da anni e anni in sacrosante battaglie di civiltà e di difesa dei diritti umani. Battaglie che dovrebbero essere il cuore di una sinistra proiettata verso il futuro.

È stato lui a dare il via all'iter parlamentare che ha portato all'approvazione della legge sulla tortura (un testo che ha però definito "un'occasione mancata"). È stato lui in prima fila nella battaglia persa per approvare lo Ius soli prima dello scioglimento del Parlamento. È stato lui tra i primi a battersi perché non venisse nascosta la verità sull'uccisione di Giulio Regeni... E potremmo continuare: l'elenco sarebbe lunghissimo ed emozionante.

Tenendo fuori Manconi dal prossimo Parlamento è come se il Pd volesse dire, al di là di ogni dichiarazione di intenti, che quelle dell'ormai ex senatore "non sono le nostre battaglie, non sono le nostre priorità...". Una scelta, quindi, che è anche una sorta di cartina al tornasole di quella che viene definita la "mutazione genetica" del Pd. Perché non è stata un'esclusione casuale, magari risultato di tristi giochi di corrente. È stata un'esclusione "politicamente" voluta e decisa. Anche davanti a un appello di decine e decine di persone che chiedevano, invece, la riconferma. Basta scorrere l'elenco dei primi firmatari per capire ancora meglio il peso specifico di questa decisione (qui il testo dell'appello).

 

 

Il ponte di Antonio

De Maria_AntonioIl presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il 31 dicembre, aveva parlato dei ragazzi del 99, i giovani che nemmeno diciottenni vennero arruolati dopo la disfatta di Caporetto e schierati a difendere la linea del Piave. "In questi mesi di un secolo fa", ha detto Mattarella,  "i diciottenni di allora, i ragazzi del ’99, vennero mandati in guerra, nelle trincee. Molti vi morirono. Oggi i diciottenni vanno al voto, protagonisti della vita democratica”.

Sono andato a cercare quello che facevano e pensavano i ragazzi del 99 nel prezioso scrigno dell'Archivio diaristico di Pieve Santo Stefano che conserva migliaia di diari, lettere, memoriali degli italiani. Ho trovato testimonianze forti e semplici di quegli anni terribili. E una voglio condividerla qui perché, anche se si svolge in una trincea lungo il Piave, non è una storia di morte ma di vita. Il protagonista è Antonio De Maria (nella foto), nato l'11 novembre 1899. Siamo in un giorno dell'aprile 1918, Antonio è di guardia, dall'altro lato del fiume c'è la trincea austriaca.

"Ad un tratto mi sembrò di sentire voci sommesse provenire dall'argine opposto... Adesso punto il fucile al centro dello squarcio del graticcio ed appena si staglia la sagoma di un altro soldato, sparo. Non c'è da sbagliare, lo colpirò senz'altro e lo stenderò morto sulla passerella. In fin dei conti alle ultime esercitazioni di tiro al bersaglio su sei colpi feci sei centri e la distanza era maggiore di questa. Sarà un bel risultato! Forse mi daranno una ricompensa, un encomio, oppure una medaglia, chissà.

Alzai il fucile e lo puntai attraverso la feritoia. Tolsi la sicura e mirai al centro dello squarcio, al punto giusto per colpire un uomo all'altezza del petto. Era quasi chiaro... Un riso fresco e giovane mi giunse all'orecchio. Questo riso è di un ragazzo come me. Perché ride con tanta disinvolta noncuranza a pochi passi dal nemico? Forse è il più spericolato, appunto perché più giovane, e ride di quella strana situazione in cui si trovano lui e i suoi compagni.

Ecco che passa un altro. Si ferma per un attimo al centro della passerella e fa un cenno a qualcuno che è rimasto di là. Lo vedo molto bene. È biondo, giovanissimo. È lui quello che rideva, sento ancora il suo riso sommesso, ma limpido, che ora proviene dall'altra parte del canale, dove è balzato.

Mi sorpresi a rimettere la sicura e a togliere il fucile dalla feritoia.

Perché non ho sparato?

Era giusto, è giusto che spari.

È la guerra, sono i nemici, devo ucciderli. Perché non l’ho fatto? Che cosa è successo?

Pietà per lui, per il suo riso gioioso, per la sua giovinezza, per il suo amore per la vita?

Perché ho abbassato il fucile?

Perché dunque ho voluto prendere parte a questo fatto assurdo e atroce che è la guerra?".

 

Ciascuno, da un piccolo episodio come questo, può trarre la morale che vuole. O anche non trarne nessuna.

A me è venuto di considerarlo una sorta di ponte tra due generazioni distanti un secolo. Un ponte fatto di solidarietà e di pace capace di non fermarsi al 2018 ma portare ancora più in là, molto più in là.

Il Quirinale e due eroi

9788864334349_0_0_300_75L'ultimo post del 2017 lo voglio dedicare a due uomini che non ci sono più, Gianni Mineo e Giuseppe Rosadi. Due uomini giusti e coraggiosi, due partigiani che per salvare la vita a più di 200 ostaggi misero a serio rischio la propria. La loro storia è sintetizzata qui da Santino Gallorini, lo scrittore che l'ha ricostruita in un libro tutto da leggere, Vite in cambio. Non c'è bisogno di aggiungere altro per capire quel che successe in quel giugno del 1944. La determinazione e il coraggio di Mineo e Rosadi fermarono una strage che sarebbe stata tra le più sanguinose di quel terribile anno.

Voglio dedicare questo post a Mineo e Rosadi perché la loro storia è stata portata all'attenzione del presidente della Repubblica Sergio Mattarella dallo stesso Santino Gallorini che ha chiesto per i due uomini un riconoscimento, un atto dello Stato italiano che sottolineasse il loro eroismo. Il capo dello Stato ha letto, ha scritto di suo pugno a Gallorini, lo ha ringraziato di avergli fatto conoscere la figura del partigiano Mineo e gli ha garantito che si sarebbe occupato della cosa. Da quel biglietto spedito dal Quirinale sono passati due anni, alcuni passi sono stati fatti ma, finora, nulla è successo. Dice Gallorini: "L’incredibile burocrazia italiana non ha permesso al Presidente di mantenere una sua promessa. Tutto è arenato tra Ministero della Difesa e Presidenza del Consiglio". E precisa: "A me e ai familiari dei due partigiani non interessa ottenere una onorificenza al valor militare o al valor civile, l’importante è che la Repubblica Italiana dica ufficialmente 'grazie' a Gianni Mineo e a Giuseppe Rosadi".

Ecco, nel momento in cui sta per iniziare un anno in cui sarà dovere di tutti noi difendere ancora di più il valore della memoria per costruire un solido futuro, mi sembra giusto ricordare questa piccola grande storia. E chiedere al presidente della Repubblica di sottolineare, con il riconoscimento promesso, la sua importanza nel patrimonio di valori della nostra comunità.

Buon 2018.

 

1938

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Sta per iniziare il 2018. Ottanta anni fa lo Stato italiano approvava le leggi razziali. Rileggiamone alcuni passaggi

“Il matrimonio del cittadino italiano di razza ariana con persona appartenente ad altra razza è proibito. Il matrimonio celebrato in contrasto con tale divieto è nullo.

L'appartenenza alla razza ebraica deve essere denunziata ed annotata nei registri dello stato civile e della popolazione.

I cittadini italiani di razza ebraica non possono: prestare servizio militare in pace e in guerra… essere proprietari o gestori… di aziende dichiarate interessanti la difesa della Nazione… essere proprietari di terreni… essere proprietari di fabbricati urbani …

“Gli appartenenti alla razza ebraica non possono avere alle proprie dipendenze, in qualità di domestici, cittadini italiani di razza ariana.

“Le Amministrazioni civili e militari dello Stato non possono avere alle proprie dipendenze persone appartenenti alla razza ebraica”.

(dal Regio decreto 1728 del 17 novembre 1938).

Il tutto era firmato dal capo dello Stato, il re Vittorio Emanuele III, e tutto passò senza che gli italiani muovessero un dito avverso una legge contro natura.

Ricordiamocelo quell’anno, rimproveriamo a chi c’era, padri, madri, nonni, nonne, bisnonni, bisnonne, di non aver fatto nulla per impedire che simili parole venissero scritte in una legge dello Stato per poi spianare la strada a deportazioni e uccisioni.

E diciamo a noi stessi che qualcosa del genere non potrà più accadere. Né in Italia né altrove.

Diciamocelo e facciamolo.

Nel 2018 poche celebrazioni e molti fatti, anche piccoli. Per non essere come allora. Per non assistere in silenzio alla ragione che si annebbia.

Foto del giorno per la Mogherini

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Foto del giorno per l'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri dell'Unione europea Federica Mogherini.

Il primo ministro israeliano Benjamyn Netanyahu era in visita a Bruxelles pochi giorni dopo la decisione di Donald Trump di spostare l'ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme e gli scontri avvenuti in Israele. "Gerusalemme capitale", ha detto Netanyahu, "è un passo verso la pace". E ha aggiunto che presto "la maggior parte dei Paesi europei sposterà le ambasciate a Gerusalemme".

Federica Mogherini ha risposto immediatamente: "Il premier Benyamin Netanyahu può tenere le sue aspettative per altri" perché i Paesi Ue non andranno con le ambasciate a Gerusalemme. Quanto alla pace in Palestina, ha detto la Mogherini, "l'unica soluzione realistica è basata su due Stati, con Gerusalemme capitale sia dello Stato di Israele sia dello Stato palestinese".

Una posizione chiara che condivido pienamente e che mi fa sentire ancora un po' più europeo di quanto già non sia. Ed è anche una presa di posizione che, a prescindere dalle conseguenze che potrà avere, dovrebbe far capire a tutti quanto sarebbe importante avere un Europa sempre più coesa e capace di esprimere una linea di politica estera unitaria.

Il database del passato

Lo storico Emilio Gentile, intervistato da Repubblica sulla vicenda dei naziskin a Como, sostiene che "questi fenomeni sono la spia della grave crisi che colpisce la democrazia, in Italia e in tutto l’Occidente", ma che le loro simbologie sono prive di senso, "non hanno niente a che vedere con la storia concreta dei regimi di Mussolini e Hitler". Ragionamento pienamente condivisibile anche quando arriva alla sua dura e amara conclusione: "Il dramma è che è venuta meno la passione per la democrazia come forma di convivenza".

Ma c'è una conseguenza di questa ineccepibile tesi che forse bisogna valutare con attenzione. Sostenendo che non c'è nessun legame tra questi comportamenti e i regimi che sconquassarono l'Europa e il mondo si rischia di attenuare l'allarme che dovrebbe scattare in tutti noi davanti a episodi come quelli di Como.

Per cui è sacrosanto sottolineare con forza la crisi che colpisce le democrazie occidentali. Ma è altrettanto sacrosanto non dimenticare che nazismo e fascismo si nutrirono proprio delle carni delle deboli democrazie post belliche.

Conoscere a fondo le conseguenze di quelle dittature può diventare così una potente arma per spingere ai margini chi vuole, adesso, tornare a nutrirsi di carni per certi versi simili a quelle di cui si nutrirono, negli anni Venti e Trenta, gli uomini di Hitler e di Mussolini.

E' per questo che il passato non va né riproposto in modo ossessivo e continuo né rimosso. Il passato è utile per quello che è: il più grande database dei comportamenti umani. E i database non vanno chiusi a chiave, vanno consultati quando serve. E adesso serve. Eccome se serve.

 

 

L'ignoranza

124211148-9c5ad0be-a599-4551-b3a5-5c5fbfc4dfc5Guardiamo bene la foto del giovane calciatore che esulta dopo un gol alzando la mano destra nel saluto fascista e mostrando una maglietta con le insegne della Repubblica di Salò.

Guardiamola bene perché non siamo in uno stadio qualunque, ma nello stadio di Marzabotto, nello stadio del paese dove quasi in ogni famiglia c'è stato qualcuno che ha visto e raccontato quello che i nazifascisti fecero in quella zona 74 anni fa. Uccisero quasi 800 donne, vecchi, e bambini che avevano la sola colpa di vivere tra quelle montagne.

Dopo aver visto quella foto e lasciato scorrere le immagini del filmato leggiamo cosa ha detto il calciatore: "Ho agito con leggerezza senza pensare alle conseguenze che da questo mio gesto sarebbe scaturito tanto a livello personale quanto comunitario. Ho lasciato passare un terribile messaggio di cui, ribadisco, sono totalmente pentito e dispiaciuto... la maglietta era normalissima".

Leggerezza, dispiaciuto, maglietta normalissima... A credergli sono parole di chi non sapeva. Non sapeva dei nazisti e dei fascisti, non sapeva quello che era successo in mezzo a quei boschi. Pensava di fare una goliardata, una cosa simpatica. E questo, a credergli, è ancora peggio che se avesse saputo, se avesse deciso, con un lucido disegno criminale, di fare quel gesto e di indossare quella maglietta. Così, a credergli, la colpa di quello che è successo va data alla peggiore malattia che possa affliggere una comunità: l'ignoranza.

Ignoranza delle proprie radici e del proprio passato, ignoranza del bene e del male che ne hanno caratterizzato l'esistenza. Una comunità ignorante rischia di non spezzare mai le terribili spirali della storia, di tornare sempre indietro, di riproporre a se stessa gli errori e le nefandezze del passato, di non saper guardare al futuro con gli occhi limpidi e densi di un saggio che ha vissuto a lungo.

La lezione che viene da quella maglietta e da quel braccio teso è quindi una sola. L'ignoranza è un nemico da combattere con tutte le nostre forze. Deve cominciare la scuola e deve continuare ciascuno di noi studiando, sapendo, ricordando, raccontando, trasmettendo. Con un obiettivo molto semplice: che nel prossimo futuro non ci possa più essere un venticinquenne che dica "Non sapevo".

Sei minuti di lezione

filmatoHo guardato due volte questo breve filmato girato da un ufficiale tedesco, probabilmente un medico, durante l'occupazione nazista dell'Italia, nel 1944. L'ho guardato due volte e lo ripropongo qui perché racconta a chi non c'era cosa è stata una guerra totale come quella combattuta lungo la penisola italiana in quegli anni. Lo racconta con l'immediatezza e la genuinità che solo immagini naturali e non costruite possono restituire.

In un primo momento queste immagini possono apparire come una parentesi di quella guerra totale durante la quale i nazifascisti massacrarono 23.300 donne, bambini, anziani. Ci sono ragazze che sembrano serene, tre bambini che sorridono. E soldati rilassati anche se si esercitano a sparare. Dove sono la violenza estrema, i villaggi incendiati, le fucilazioni di massa? A pochi chilometri, al massimo a un giorno di viaggio. Eppure sembrano lontani, lontanissimi

Ma sarebbe un errore considerare le piccole scene del filmato come quelle di una comunità fino a quel momento rimasta immune dalla guerra, che l'ha vista da lontano, che è riuscita a vivere decentemente mentre altrove si moriva.

Per capirlo è sufficiente soffermarsi qualche istante sulle immagini dei tre bambini. Sono tre bambini ripresi da un uomo che ha il controllo su di loro. E' un uomo che sta occupando la loro terra, che li sta privando della loro libertà. Loro non lo possono sapere, ma sottomissione a paura sono scritte nei loro occhi. Impresse da quello che vedono e sentono. E il vecchio filmato ce le trasmette intatte.

E' questa la lezione di questi sei minuti di pellicola Agfa. Quando la guerra è totale, quando attraversa in profondità il corpo di una comunità nessuno ne resta immune. A prescindere dall'età, da quello che gli accade intorno, da quello che vede con i propri occhi.

 

L'ottimismo di Walter

Walter_Veltroni_1Walter Veltroni, primo segretario del Partito democratico, dice cose sagge e ascoltandolo si diventa, anche solo per un attimo, ottimisti sul futuro della sinistra italiana. Dice che "la sinistra deve ritrovare l'umiltà dell'unità", che "Il Pd dovrebbe recuperare il rapporto con Campo progressista e Mdp, solo questo ci permetterebbe di andare ben oltre l'attuale 26%", che un'alleanza tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi "sarebbe un errore, la forza del Pd è nella sua alternatività alla destra".

Ma sappiamo che le cose non andranno così. L'unità a sinistra è una chimera destinata, per quello che si può capire, a restare tale. E dopo le elezioni avremo una situazione politica molto diversa da quella auspicata da Veltroni. Gli ultimi sondaggi e le proiezioni su come potrebbe essere il Parlamento se venisse approvata la legge elettorale votata dalla Camera la scorsa settimana, dipingono scenari di grande instabilità: un Parlamento  diviso in tre, con nessuno dei tre schieramenti con i numeri sufficienti per governare. Si riaffacceranno ipotesi antiche (governi tecnici o del presidente) o vedremo gli schieramenti scomporsi per ricomporsi e formare maggioranze adeguate (e un'alleanza Pd-Forza Italia potrebbe raggiungere questo obiettivo).

Ma anche se sappiamo tutto questo teniamoci l'ottimismo ispirato dalle parole di Veltroni. Teniamocelo per un po' più di un attimo.

Un grande pollaio

Questa volta mi rifiuto di studiare la nuova proposta elettorale, quella chiamata Rosatellum bis. Ha tutto il sapore di un pacchetto di regole studiato solo per non scontentare i partiti che dovrebbero approvarlo: favorisce le coalizioni, prevede un fiorellino all'occhiello di "democrazia diretta" (i collegi uninominali), garantisce la nomina diretta della maggior parte dei parlamentari...

Se studiassi il Rosatellum bis accetterei ancora una volta le regole di un gioco che non mi piace. Quello che va avanti da anni, che è passato attraverso altre proposte di legge elettorale e  soprattutto attraverso la fallita riforma della Costituzione. E' il gioco imposto da chi vuole rifare le regole per rinsaldare il proprio potere senza guardare oltre lo spazio di una legislatura. C'ha provato Matteo Renzi, ci prova adesso un gruppo più vasto di forze politiche, ci proverebbero gli stessi Cinquestelle se trovassero il loro tornaconto diretto e immediato.

Servirebbe, in questo momento, una leadership politica di tutt'altro livello. Partendo dall'analisi degli attuali schieramenti bisognerebbe costruire delle norme elettorali capaci di garantire un'adeguata rappresentanza parlamentare dell'elettorato ma anche di spingere verso aggregazioni che diano stabilità di governo. E questo andrebbe fatto con grande abilità, trovando il giusto compromesso tra l'interesse delle forze attualmente presenti in parlamento e l'interesse del paese nei prossimi decenni.

La politica è questa. Altrimenti, se si cerca solo di vincere al prossimo giro, è come vivere in un grande pollaio.

Il vaccino antifascista

saluto-romano-675L'approvazione, da parte della Camera, di un nuovo articolo del codice penale che punisce la propaganda nazifascista soddisfa e sconcerta allo stesso tempo.

Soddisfa perché la sua approvazione (vedremo cosa accadrà adesso al Senato) fa tornare d'attualità una tematica che non dovrebbe mai essere abbandonata. Fa ricordare, per chi avesse memoria corta o poche letture alle spalle, cosa sono stati il nazismo e il fascismo. Non libere manifestazioni del pensiero, non semplici ideologie sconfitte dalla storia o considerate superate. Sono state il "male assoluto", la negazione stessa dell'idea di umanità e di convivenza civile. E non penso sia necessario argomentare queste affermazioni...

Sconcerta perché un paese in cui serve una legge per evitare che gruppi di persone facciano propaganda del fascismo o del nazismo è un paese che non conosce il proprio passato, che galleggia su una falsa idea di se stesso, che ritiene che tutto possa dimenticarsi e quindi tutto possa riproporsi. E' un paese che vorrebbe cancellare le ideologie, considerandole icone del passato, ma non vede che rinascono nelle proprie viscere, con nomi diversi, ma con slogan, gesti e finalità che vengono proprio da quel terribile passato.

E' per questo che a quella legge aggiungerei un comma che con il codice penale non c'entra nulla. L'obbligo di studiare, in tutti i tipi di scuole, il fascismo e il nazismo. Ma non parlando solo di guerre e di relazioni internazionali. Ma delle condanne a morte, delle libertà negate, dei lager, dei milioni di morti... Bene, a fondo, con letture che non si possono dimenticare. Con un obiettivo: fare in modo che tra un po' una legge come quella che adesso attende l'approvazione del Senato non serva più, che il nostro paese abbia finalmente metabolizzato il vaccino antifascista.

Non è tutta colpa di Colombo

columbus-circleSe fossi un cittadino americano mi opporrei alla distruzione delle statue di Cristoforo Colombo. Non per difendere la sua memoria, né per tutelare un simbolo della comunità italo-americana. Ma per difendere la storia.

Colombo, anche se la questione è controversa, non andò tanto per il sottile con i nativi americani che incontrò. Ma il genocidio, cioè l'annientamento sistematico delle popolazioni del "Nuovo continente", è una vergogna che ricade addosso ai regnanti europei che inviarono le soldatesche al di là dell'Atlantico e ai bianchi con la bandiera a stelle e a strisce che, fino a poco più di un secolo fa, uccisero e massacrarono .

Distruggere le statue di Colombo è quindi come distruggere la storia, cancellare dalla memoria collettiva quel che è veramente stato. E' come dire a se stessi e agli altri che la colpa delle cose terribili che abbiamo fatto è tutta di quell'italiano...

E' per questo che, se fossi un cittadino americano, vorrei che le statue di Colombo restassero al loro posto.

Ma non da sole.  Chiederei che accanto venisse eretta la statua di un guerriero Sioux, o Cheyenne, o Seminole, o Apache che alza bandiera bianca ma viene trafitto dalla sciabola di una "giubba blu" come davvero avvenne a Sand Creek il 29 novembre 1864. E lì vicino, se ci fosse lo spazio, ci vorrebbero un uomo e una donna africani, in catene.

Poi farei in modo che le scuole della mia città organizzassero visite guidate davanti alle tre statue e un bravo professore raccontasse la storia dell'America per quello che davvero è stata.

 

Una bella lezione

20914619_10214255752529805_6473722168384186582_nDa non lasciarsi sfuggire la mini storia di Magic Johnson e Samuel L. Jackson, miliardari in vacanza, seduti su una panchina di Forte dei Marmi. Luca Bottura utilizza la foto che li ritrae per lanciare una classica fake news con queste parole "Risorse boldriniane a Forte dei Marmi fanno shopping da Prada coi 35 euro. Condividi se sei indignato!". Sui social si scatena una reazione a catena di indignazione e insulti... Prima di soffermarsi a pensare per un solo istante, senza provare nemmeno di capire chi sono quei due signori rilassati e sorridenti... Bottura ha calcolato che solo il 40 per cento degli intervenuti ha capito che si trattava di una provocazione.

Grazie Bottura, hai costruito una bella lezione. Speriamo che arrivi a più persone possibili  e che contribuisca a ridurre un po' quel pernicioso rumore di fondo che invade la rete, quel parlare e urlare a vanvera, quell'insultare senza sapere e senza nulla rischiare.

 

Carcere di Santo Stefano, il primo passo

160522_D8E0132Il recupero del vecchio carcere dell'isola di Santo Stefano (nella foto) può partire. Si possono iniziare a spendere i 70 milioni che arrivano da Bruxelles (fondi per lo sviluppo e la coesione) e che il governo ha destinato all'isoletta ponziana. Obiettivo: farla diventare un luogo dove si conserva e coltiva la memoria e un luogo dove si studia.

A Santo Stefano sono stati rinchiusi migliaia di ergastolani, ma anche padri della patria come Sandro Pertini e Umberto Terracini. A un miglio di distanza, a Ventotene, nel 1941, germinò l'idea di Europa. La misero per iscritto Altiero Spinelli (che nel cimitero dell'isola è sepolto), Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni. E sempre a Ventotene, confinati dal fascismo, studiarono e fecero politica uomini e donne che poi scrissero la nostra Costituzione.

Giusto quindi aver individuato il piccolo arcipelago per curare e sviluppare le radici della nostra comunità. Giusto aver intercettato uno stanziamento comunitario e averlo destinato a un'operazione di questo tipo. Anche perché sono soldi che, in caso contrario, probabilmente non sarebbero mai arrivati nel nostro paese.

Adesso si tratta di vedere come verranno spesi. Se verranno dispersi in mille rivoli o se ci sarà la capacità di costruire un progetto semplice, ma efficace. Immagino un'isola in cui si possa andare a studiare politica e dove le idee sul futuro dell'Europa possano essere messe a confronto. E anche un'isola dove il passato di sofferenze e segregazione venga accuratamente ricostruito perché il futuro non lo ce lo possa riproporre.

Cose inutili? Soldi buttati dalla finestra? Sicuramente c'è chi la pensa così e ha già messo questa iniziativa tra quelle capaci solo di dilapidare risorse pubbliche. Sta al governo realizzare presto e bene questo progetto e, contemporaneamente, far bene e presto tutto il resto. Per ora, però, un cauto e sommesso applauso penso lo abbia meritato.

 

La polizia che avremmo sempre voluto

cut1359722769224.jpg--franco_gabrielliL'Italia aspettava da almeno 36 anni le parole che il capo della polizia Franco Gabrielli ha consegnato oggi a Carlo Bonini di Repubblica. Trentasei anni fa, il 1° aprile 1981, veniva approvata la riforma della polizia. Una riforma, per la quale si batterono decine di coraggiosi poliziotti, che fece diventare la Pubblica sicurezza un corpo civile che doveva prevenire più che reprimere, capire più che combattere.

Ma quello che allora si sognava non è avvenuto.  La polizia senza stellette torturò pochi mesi dopo la riforma. Nel silenzio dei capi, con la copertura dei capi. E di anno in anno quello "spirito della riforma", come lo chiamavano quelli che ci credevano, si perse per strada. Chi torturò non venne condannato e isolato, chi usava violenza non trovava rimproveri e ostilità. Così si arriva alla Genova del 2001, alla Diaz e a Bolzaneto, alla morte di Federico Aldrovandi, a quella di Stefano Cucchi, di Giuseppe Uva... E agli applausi dei poliziotti ai colleghi condannati per la morte di Aldrovandi.

Oggi, finalmente, le parole del capo della polizia in carica.

"Il G8 di Genova fu una catastrofe".

"Al posto di De Gennaro (capo della polizia nel 2001, Ndr) mi sarei dimesso". E spiega perché: "Quando in una piazza viene fatto un uso abnorme della forza da parte di un reparto mobile la responsabilità va cercata non soltanto e non tanto a partire dal singolo poliziotto che ha abusato del suo manganello ma, al contrario, dal funzionario o dal dirigente che ha ordinato una carica che non andava ordinata. Ecco, se parliamo di responsabilità sistemiche e dunque vogliamo storicizzare finalmente il G8 di Genova, io non penso che il singolo agente o funzionario possano funzionare da fusibile del sistema. E che, dunque, in caso di corto circuito, si possa semplicemente sostituire quei fusibili che si sono bruciati e poi serenamente dire “andiamo avanti”. Lo ripeto. Se vogliamo costruire una memoria condivisa su Genova, se vogliamo mettere un punto, va colmato lo spread fra responsabilità sistemica e responsabilità penale. Quello che ha fatto sì che alcuni abbiano pagato e altri no".

E poi, in poche righe, il ritratto della polizia che Gabrielli vorrebbe, che vuole: "Una Polizia che non ha e non deve avere paura degli identificativi nei servizi di ordine pubblico, di una legge, buona o meno che sia, sulla tortura, dello scrutinio legittimo dell’opinione pubblica o di quello della magistratura. Una polizia che non deve vivere la mortificazione o lo stillicidio delle sentenze della Corte europea per i diritti dell’Uomo su quei fatti di sedici anni fa. Perché questa è la Polizia che ho conosciuto e che conosco".

E', esattamente, la polizia che volevano gli uomini che, negli anni Settanta, si batterono per la riforma.

Se Gabrielli farà seguire alle parole i fatti, e per il momento non c'è davvero nessun motivo per dubitarne, nella polizia non ci sarà più posto per chi abusa del proprio potere, per chi ordina cariche sciagurate, per chi applaude chi ha ucciso.

Sarebbe la polizia che abbiamo sempre sognato, la polizia che avremmo sempre voluto.