Istantanea Pier Vittorio Buffa

E' ufficiale, in Italia c'è stata la tortura

Dire che la polizia italiana, all'inizio degli anni Ottanta, in piena emergenza terroristica, ha fatto uso della tortura non è calunnia, non è reato. Come dire: nell'Italia repubblicana la tortura è esistita davvero.

Lo ha stabilito martedì 15 ottobre, alla fine di un lungo e complesso iter giudiziario, la Corte d'appello di Perugia che ha assolto dal reato di calunnia l'ex brigatista Enrico Triaca. La supposta calunnia era contro la polizia, accusata di Triaca di aver praticato su di lui, per indurlo a parlare, la tortura dell'acqua, il cosidetto waterboarding. Il capo dei toruratori ha anche un nome, contenuto nel dispositivo della sentenza: "Revoca la sentenza di condanna della Corte di appello di Roma quanto al delitto di calunnia e per l'effetto assolve Triaca Enrico dal reato di calunnia perché il fatto non sussiste.  Dispone l'affissione della sentenza per estratto presso la Casa comunale di Roma. Dispone la pubblicazione della sentenza per estratto sul quotidiano Repubblica. Dispone la trasmissione di copia degli atti alla Procura di Roma per quanto di competenza per la posizione di Nicola Ciocia".

Ciocia ha quasi ottant'anni e i reati sono ormai prescritti. Ma il valore della sentenza è di portata storica. Da sempre gli organi dello Stato hanno negato il ricorso a sistemi di interrogatori violenti. Ma gli anni, la tenacia di vittime come Triaca, il lavoro di alcuni giornalisti hanno consentito di appurare la verità.

In particolare è stato ben definito il ruolo di Nicola Ciocia, soprannominato dottor De Tormentis, capo di una squadretta che era specializzata nella tortura dell'acqua.  Ne hanno scritto Matteo Indice sul Secolo XIX, Nicola Rao nel libro Colpo al cuore, Fulvio Bufi sul Corriere della Sera. L'ha confermato con tutti i dettagli il funzionario di polizia Salvatore Genova, a suo tempo accusato per le torture e testimone chiave nel processo di Perugia, in una lunga intervista che gli feci nella sua casa genovese e pubblicata dall'Espresso.

Genova

Un'intervista in cui ha parlato diffusamente del ruolo di Ciocia e di come l'uso delle maniere forti nei confronti dei brigatisti arrestati sia stata un'attività voluta e coperta dall'alto. Proprio come Luca Villoresi su Repubblica e io sull'Espresso avevamo scritto 31 anni fa, all'epoca dei fatti.

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Sguaiatezza

Sguaiatezza, da sguaiato: "chi si comporta o parla in maniera maleducata, volgare o scomposta" (Tullio De Mauro, Grande dizionario italiano dell'uso).

Non vedo altro termine per definire il tono con il quale i Cinque Stelle hanno reagito al messaggio del presidente della Repubblica sul sovraffollamento delle carceri e sull'opportunità di provvedimenti (soprattutto amnistia e/o indulto ) che affrontino il problema. E della sguaiatezza in politica, e nella vita comune in generale, ne avrei, personalmente, piene le tasche.

Nel merito ci sono da dire due cose molto semplici.

1. La tempistica del messaggio presidenziale si presta facilmente a essere strumentalizzata o fraintesa. Alla vigilia dell'esecuzione della condanna per frode fiscale contro Berlusconi Silvio i cattivi pensieri arrivano in un attimo. "Eccoli lì, sbraitano sbraitano e poi stanno facendo l'inciucio per lasciare Berlusconi in libertà".

2. Lasciare i cattivi pensieri fuori dalla finestra è facile. Gli ultimi due atti di clemenza (l'amnistia del 1990 e l'indulto del 2006) definirono nettamente il campo di applicazione. E' sufficiente seguire la stessa strada. Escludere da qualunque provvedimento uno dei reati socialmente più odiosi , la frode fiscale, appunto. Ipotesi già fatta da esponenti del Pd. Ma questo dovrebbe essere chiaro dall'inizio, per tutti. Non dovrebbe, un dubbio del genere, inquinare il dibattito politico dei prossimi mesi.

Di sguaiatezza, davvero, non ce n'è più bisogno.

Aspettiamo il 25 aprile

Questa mattina almeno in tre, tre persone incontrate per caso in luoghi diversi ma che conoscevano la mia professione, mi hanno chiesto con tono più da affermazione che da domanda:

"A questo punto davvero Berlusconi è finito? L'Italia se n'è liberata?".

Io, tutte e tre le volte, ho risposto quello che penso da ieri, da quando ho ascoltato Berlusconi Silvio annunciare il suo si al governo Letta.

"Non so se è davvero finito, è uomo dalle mille risorse e dallo straordinario potere corruttivo. Bisogna aspettare un po', capire quali mosse sta elaborando".

Uno dei miei tre interlocutori è andato oltre e ha fatto il paragone storico che in questi giorni va per la maggiore.

"Ma il 2 ottobre 2013 non è stato il suo 25 luglio?".

"Forse si", ho risposto, "ma tra il 25 luglio e il 25 aprile ne sono successero tante di cose terribili. Aspettiamo il 25 aprile politico dell'Italia repubblicana".

Mai più

Io spero che una cosa sia chiara a tutti gli italiani, ma proprio a tutti.

L'uscita dei ministri del Pdl dal governo risponde a una sola logica.

Sottrarre Berlusconi Silvio alle leggi del nostro paese.

E questa è la cosa più antidemocratica e immorale che possano fare uomini e  donne che vorrebbero decidere delle sorti di un paese democratico.

Spero che gli italiani ripartano, se dovessero essere chiamati alle urne, da questa constatazione. E non diano mai più il proprio voto a chi, per difendere un cittadino condannato per frode fiscale, si oppone alle leggi, usa la politica per fini personali, getta il paese in un vortice che rischia di ucciderlo. Mai più

Io, Berlusconi, sono come Moro

Come Aldo Moro.

Non c'è dubbio che un comunicatore come Berlusconi Silvio non abbia scelto a caso il 55° giorno dopo la sentenza Mediaset per comunicare le notti di sonno e i chili persi.

Cinquantacinque giorni sono quelli della prigionia di Aldo Moro. I giorni più terribili dell'Italia repubblicana che si conclusero con un evento lacerante e traumatico, l'assassinio del leader dc che aveva creato il dialogo tra la Democrazia cristiana e il Partito comunista.

Avvicinare se stesso ad Aldo Moro e le proprie notti insonni a quelle che l'allora presidente della Dc trascorse nella prigione delle Brigate rosse è una scelta precisa.

E' un cercare di legare ancora di più le sorti personali a quelle del paese. Di allontanare  l'attenzione pubblica dalla realtà (una condanna per frode fiscale). Di trasformarsi con sempre maggiore virulenza in una vittima dei "comunisti", come Moro lo fu, appunto, delle Brigate Rosse.

C'è da sperare che nelle prossime ore i moderati che finora hanno sostenuto Berlusconi Silvio capiscano che è giunto il momento di separare le sorti dell'Italia da quelle personali di un uomo che sta arrivando al punto di non ritorno. Quello che ha indicato con i i 55 giorni di insonnia: "Non mi lascio uccidere da solo, porto tutti con me".

E in quel "con me" rischia di esserci ciascuno di noi. Comunque la pensi o l'abbia pensata finora.

Anche in carcere dicevano "Io sono innocente"

Ascoltare Berlusconi Silvio, pregiudicato per frode fiscale, parlare senza contraddittorio attraverso le sue televisioni mi ha ricordato di tanti anni fa, quando feci una lunga inchiesta per l'Espresso girando per le carceri italiane.

Incontrai centinaia di detenuti. Chi non era brigatista o bandito famoso normalmente si avvicinava al giornalista dicendo di essere innocente. Proprio come Berlusconi Silvio che nel video di oggi grida "Io sono innocente" quando c'è invece una sentenza definitiva, arrivata dopo un lungo iter, a stabilire che è colpevole di uno dei peggiori reati che possa commettere chi vuole occuparsi della cosa pubblica, la frode fiscale, appunto.

Ma non ho sorriso a questo ricordo. Non mi è venuta voglia di seguire l'onda di ironia che ha attraversato la rete.

Perché so che, con le sue parole di oggi, Berlusconi Silvio ne ha ammaliati parecchi di italiani. Italiani che ancora non riescono a vedere la carica eversiva di discorsi come quello di oggi.

Se un giorno un sindaco...

Confesso di essere rimasto perplesso, molto perplesso, quando ho letto che il sindaco di Cantù aveva deciso, in mezzo a dure polemiche, di ospitare in spazi comunali un festival del movimento di estrema destra Forza Nuova.

Del sindaco in questione, Claudio Bizzozero, non sapevo nulla e ho pensato a una sua voglia di protagonismo, a un suo voler andare controcorrente.

Poi il sindaco  di Cantù è andato a salutarli, i militanti di Forza Nuova. O meglio, è andato, come precisa nell'intervista al Corriere della Sera rilasciata davanti a un ritratto di Sandro Pertini e che si può ascoltare qui sotto, "a portare un messaggio".

Bizzozero

Ha detto il sindaco ai forzanovisti:

"Per alcuni avervi concesso questo spazio equivale a un oltraggio ai valori repubblicani. Noi invece lo consideriamo in linea con qui valori che concedono a tutti libertà di parola, eguaglianza davanti alla legge, libertà di culto e diritto di asilo. L'eredità della guerra civile da cui è nata l'Italia democratica ci ha insegnato che non è possibile risolvere i conflitti attraverso l'intolleranza o la contrapposizione violenta".

Si, accostare il termine "guerra civile" a quello di "contrapposizione violenta" mi provoca crampi allo stomaco, perché in quegli anni ci fu violenza e sopraffazione nazifascista a cui si oppose, in tutte le sue diverse articolazioni, il movimento di liberazione.

Ma la sostanza del ragionamento di Bizzozero mi ha fatto riflettere su quella mia perplessità nata in modo un po' automatico. E mi sono detto che forse il suo gesto e le sue parole dovrebbero essere la norma in un paese civile e proiettato verso il futuro.

Ascoltatele, per favore.

Urliamo ancora #noporcellum

All'inizio di questa legislatura pensavo, ingenuamente, che fosse terminato il tempo in cui bisognava urlare #noporcellum per ricordare l'obbrobrio della nostra legge elettorale. Tutti sembravano d'accordo: mai più al voto con questa legge. Fino a due giorni anche il presidente del Consiglio lo ha ribadito con questo tweet:

E invece più si addensano le nuvole sul futuro della legislatura più diventa concreto il rischio che si torni ancora una volta a votare con il porcellum.

Il che vuol dire, in estrema sintesi, due cose.

1. Privare ancora una volta gli elettori della possibilità di scegliere chi mandare in Parlamento.

2. Avere ancora una volta una situazione di instabilità politica causata dal diverso sistema di attribuzione, tra camera e Senato, dei premi di maggioranza.

Per questo bisogna riprendere a urlare, ogni giorno, con forza

#noporcellum

Il coraggio di Angela

Una ragazza di 17 anni contro i clan mafiosi. E' questa la semplice ma straordinaria storia che questa settimana racconta l'Espresso con un articolo di Lirio Abbate.

Alla ragazza è dato un nome di fantasia, Angela.

Ma non è di fantasia il nome di suo padre, il boss Matteo Messina Denaro , capomafia trapanese ricercato da vent'anni e accusato di decine di delitti.

Angela non ha mai visto il padre e, racconta l'Espresso, ha sempre vissuto nella casa della nonna paterna. Sorvegliata a vista, lei e la madre, dagli uomini del clan. Alla madre, per esempio, "veniva concesso di vedere da sola una delle sue più care amiche una volta l'anno lungo una spiaggia, in modo da essere controllata anche a distanza". Una vita da segregate, da prigioniere.

Angela adesso ha detto basta. Vuole una vita normale e ha "imposto alla madre di lasciare la casa della nonna e cominciare una vita autonoma".

Un gesto normale in un mondo che non è normale. Quindi un gesto di eccezionale coraggio.

La trappola

La trappola è pronta a scattare, come altre volte è successo negli ultimi vent'anni.

Leggi e sentenze sono lì a parlare chiaro.

Un senatore (Silvio Berlusconi) è stato condannato a 4 anni di reclusione per frode fiscale. Una legge (approvata proprio per impedire che  i pregiudicati approdino in Parlamento) prevede che lo stesso senatore debba decadere e comunque non essere ricandidabile. Se questa legge non bastasse, a breve una Corte d'Appello deve stabilire per quanti anni lo stesso senatore sarà interdetto dai pubblici uffici, e quindi non potrà occupare un seggio parlamentare.

Di fronte a questo quadro ci sarebbe una sola cosa da fare.

Chiedere, semplicemente, che le regole vengano rispettate e che il suddetto senatore tolga il disturbo.

Cercare altro (accordi, commutazioni di pena,  rinvii e inciuci vari) vuol dire, altrettanto semplicemente, aiutare, appoggiare, coprire un pregiudicato. E fare in modo che non paghi per il reato che ha commesso.

Invece sta scattando la trappola.

Gli amici del senatore in questione stanno puntando il dito contro chi vorrebbe applicare la legge.

E chi vorrebbe applicare la legge ha difficoltà a restare unito, a dire con grande forza e perché tutti capiscano:

"Qualunque cosa succeda, dallo scioglimento del Parlamento all'avvitamento del nostro paese nella crisi, sarà colpa e solo colpa di chi vuole proteggere un pregiudicato".

Se si discute, se ci si divide, se si cercano compromessi si va dove vogliono gli amici del pregiudicato.

"Ecco", potranno dire gli amici del senatore condannato a 4 anni di reclusione, "vedete? Giudici e leggi non c'entrano, è solo una questione politica, i nostri nemici si dividono, la legge non è chiara, è una persecuzione contro il nostro capo".

E raccogliere ancora voti in nome e per conto di chi ha frodato il fisco.

Che ha cioè frodato tutti noi, uno per uno, nessuno escluso.

Le strade di Renzi

Può senz'altro sembrare una cosa fine a se stessa, una furbata da sindaco che cerca un modo rapido per restare nella storia della propria città.

Ma non è così, almeno secondo me.

La decisione di Matteo Renzi di cambiare il nome a un bel po' di strade di Firenze è una di quelle iniziative che andrebbero copiate in tutta Italia, clonate.

Renzi vuole farsi suggerire i nomi dalle scuole e poi fare una consultazione online. Per trasformare via Tripoli in via don Puglisi o via Unione Sovietica in via Guido Rossa, via Margherita Hack, via Enrico Berlinguer o via Oriana Fallaci, tanto per capirsi.

Vuole, cioè, rimettere cioè a posto i tasselli della memoria collettiva facendo scegliere a chi della memoria è il primo destinatario, cioè i giovani.

E costruire una memoria condivisa, anche solo attraverso i nomi delle strade, non è cosa banale.

Bravo sindaco. E in bocca al lupo.

Siamo tutti onesti

Meglio stare zitti diceva mia madre quando avrebbe dovuto fare  commenti prevedibili, ovvi ma anche definitivi.

Meglio stare zitti, ho pensato, la sera della sentenza che ha condannato Silvio Berlusconi, stabilendo che l'ex presidente del consiglio italiano è un pregiudicato che ha frodato il fisco del proprio paese.

Invece non si può stare zitti.

Perché chi dovrebbe davvero restare in silenzio, chi cioè ha scelto come proprio leader un pregiudicato, sta urlando fuori misura.

A chi vorrebbe una "guerra civile" rispondiamo, urlando più forte di lui, che solo gli sciagurati possono partorire simili pensieri.

A chi urla "Siamo tutti pregiudicati, siamo tutti Berlusconi" contrapponiamo l'urlo più bello e pulito che possiamo immaginare: "Siamo tutti onesti".

Ma urliamolo forte, proprio forte.

Trentuno vecchi criminali in libertà

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Erich Priebke (nella foto) compie 100 anni perché è nato a Hennigsdorf il 29 luglio 1013. Il boia delle Ardeatine è l'unico nazista condannato all'ergastolo da un tribunale italiano che è agli arresti. Ce ne sono altri 31 come lui, ergastolani per aver ucciso e massacrato donne, uomini e bambini indifesi. Ma liberi nel loro paese, la Germania. Li ha contati il procuratore militare Marco De Paolis, il magistrato che ha istruito i più importanti processi per strage, durante questa intervista.
Trentuno "vecchi criminali", come li chiama De Paolis, per i quali non è concessa l'estradizione e a cui nessuno, a cominciare dal governo italiano che probabilmente la chiede senza la necessaria energia, riesce a far scontare la condanna in patria.
E' facile chiedersi se ha ancora senso perseguire, 70 anni dopo i delitti, criminali così vecchi. Ma se capita, come è capitato a me per preparare un libro, andare per i paesi devastati dai nazisti, parlare con i sopravvissuti, vedere il dolore nei loro occhi, qualunque dubbio si cancella. Crimini contro l'umanità come quelli commessi da tanti nazisti non sbiadiscono con il tempo. Anzi, come dice De Paolis, lo scorrere degli anni dilata l'ingiustizia.
E poi, come giustamente dice il procuratore, "non è vero che vecchietti come Priebke non fanno male a nessuno. Fanno male perché non si pentono e non chiedono neppure scusa alle vittime e ai loro familiari. Questi vecchi criminali dovrebbero dire chiaramente che quello che hanno fatto è profondamente sbagliato".
Parole da sottoscrivere una per una.
Si dia dunque da fare il governo italiano, metta in agenda un'azione decisa perché i 31 "vecchi criminali" condannati all'ergastolo scontino la loro pena.
E ne dia conto, prima di tutti, a chi per quei crimini soffre da 70 anni.

Non dimenticare il porcellum

"La vera riforma è abolire il porcellum". Lo scrive stamattina Ezio Mauro su Repubblica e ben vengano parole così chiare e nette.

Ma è chiaro da anni che quella legge elettorale è una specie di tumore che tutto corrode.

Che parlare di riforme senza partire da questa è solo un esercizio retorico.

Che se i partiti non hanno il coraggio di spogliarsi della "nomina" dei deputati la nostra democrazia continuerà ad avvitarsi su se stessa.

L'anno scorso in tanti urlavamo "#noporcellum".

In nome di questo slogan Roberto Giachetti un deputato del Pd, oggi vicepresidente della Camera, non ha mangiato per settimane e ha rischiato la vita. Con lui altre decine di parlamentari chiesero a gran voce, astenendosi anch'essi dal mangiare,  di togliere di mezzo quella legge elettorale.

Quindi va bene chiedere al Partito democratico di dettare l'agenda e imporre l'abolizione del porcellum

Anzi, va benissimo. E' una priorità delle priorità.

Basta non dimenticarsene e continuare a chiederlo finché non ci sarà davvero una nuova legge.

Tristezza e rabbia

Ho fatto fatica, in questi ultimi giorni, a leggere le cronache politiche italiane.

Due le vicende che, oltre alla fatica di seguirne gli sviluppi,  mi hanno procurato tristezza e rabbia.

1. Calderoli-orango-Kyenge. Ma si può, in un paese civile e democratico come dovrebbe essere il nostro, dibattere su una cosa del genere? Si può tollerare che si paragoni un essere umano a un orango? Si può accettare che i lavori del Senato siano guidati da una persona, Roberto Calderoli, che si esprime, e quindi pensa, così? No, non si può. Per questo il solo fatto che questo individuo sia ancora vice presidente del Senato mi trasmette tristezza e rabbia.

2. Shalabayeva-Procaccini-Alfano. Il ministro dell'Interno e vice presidente del consiglio, Angelino Alfano, dice che non ne sapeva nulla, che nessuno lo ha informato, al Viminale, di quello che stava accadendo. Il suo capo di gabinetto, Giuseppe Procaccini, si dimette e afferma, invece, che il ministro sapeva, che era stato lui stesso, Procaccini, a informarlo della richiesta dell'ambasciatore kazhako. Chi dice bugie? Il ministro o il suo capo di gabinetto? Uno dei due sicuramente. E questo vuol dire che dice bugie agli italiani almeno una delle persone al vertice del ministero più delicato per la sicurezza interna del nostro paese. Che tristezza. Che rabbia.