Istantanea Pier Vittorio Buffa

Il test di Emma

emma_bonino.jpg

Emma Bonino ne ha fatta una delle sue. Ha detto di essere innamorata di un uomo "straniero, non un politico". Ma non era vero. L'ha confessato ai microfoni di Radio radicale: una bufala, ha detto, per fare un "test sul giornalismo italiano".

Il test è riuscito in pieno. L'intervista, uscita su Diva e donna sotto il titolo "Politica e amore, la mia nuova vita", è stata rilanciata dalla agenzie di stampa e ripresa sia dal Corriere della Sera che, più ampiamente, da Repubblica. Ed è così diventata una delle notizie più ghiotte dei giornali radio della mattina. La vice presidente del Senato, però l'ha fatta durare poche ore, appunto.

Il test di Emma Bonino impartisce almeno un paio di lezioni.

Il giornalismo italiano farebbe bene a tornare alla sana regola della doppia fonte. Chi ha la mia età e ha cominciato il mestiere negli anni Settanta sa bene di cosa parlo. Per noi ragazzi il Watergate divenne un mito e durante quell'inchiesta i due giornalisti del Washington Post si attennero rigorosamente a questa regola: una notizia non è notizia se non è confermata da almeno due fonti. Ma questa regola l'abbiamo tutti un po' persa per strada. Qual era la seconda fonte dell'innamoramento della Bonino? La stessa Bonino che, forse, essendo anche vice presidente del Senato, poteva essere cercata per una conferma.

La seconda lezione riguarda la "reazione automatica" di cui tutti noi che facciamo questo mestiere siamo più o meno vittime.  Dicesi ""reazione automatica" lo scatto immediato di un professionista dell'informazione di fronte a una notizia. Lo scatto come quello di un centometrista, che balza in piedi senza guardare avanti, solo perché la pistola ha sparato. La "reazione automatica", nel caso della Bonino, riguarda soprattutto il suo essere donna da tempo senza relazioni note. "Beh è una notizia, sessant'anni e un amante, ed è vice presidente del senato, ed è la Bonino...". Il rimedio alla "reazione automatica"? Uno solo. Fermarsi un attimo a riflettere: non sempre ci sono i cento metri da correre.

Il Sergente e il Cavaliere

 rigoni_stern1.gif

Mario Rigoni Stern se ne è andato in silenzio, nella tranquillità delle sue montagne. Paolo Rumiz è stato tra gli ultimi a incontrarlo e ne ha raccontato su Repubblica. Il vecchio alpino, lo scrittore, l'uomo di montagna, tra tante altre cose, gli ha detto:  "Non so se arriverò alle elezioni, ma mi piacerebbe che Quello lì andasse a casa".

So che non è bello usare parole di chi non c'è più. Ma sono sicuro che Mario Rigoni, che ho avuto il privilegio di conoscere, non avrebbe nulla in contrario che quelle poche parole dette all'amico giornalista vadano di casa in casa come un testimone.

Testimone dei valori che hanno fatto di Rigoni un grande scrittore e un grande uomo.

Testimone dei valori che dovrebbero essere sempre presenti in una società sana.

Letta adesso, quella frase pronunciata dal sergente Rigoni quando era ancora inverno, a me ha fatto uno strano effetto. E' stato come un incitamento a non lasciare che quello che sta accadendo nei palazzi del potere scorra via come inelluttabile.  E quindi, per quello che può valere, grido qui la mia indignazione per il tentatiivo di bloccare i processi, di piegare agli interessi di parte le istituzioni, di usare il potere dato da un popolo per fini diversi da quelli del bene del popolo stesso.

Un amico, l'altra sera, mi ha ricordato l'Aventino, la drammatica autoeliminazione dal parlamento dei deputati antifascisti dopo l'omicidio Matteotti che, di fatto, agevolò la costruzione del regime. E mi ha passato un link dove c'è il testo integrale del famoso discorso nel quale Mussolini disse che se il fascismo era stato un'associazione a delinquere, lui era il capo di questa associazione a delinquere.

L'ho riletto con attenzione, quel discorso, e ho ringraziato l'amico per il link.

La Mercedes o la Vergine Maria

200px-joseph_oconnor.jpg

Joseph O'Connor è uno scrittore irlandese molto noto e seguito. In un'intervista, a proposito del voto dell'Irlanda sul trattato europeo, ha detto: "L'Europa ci ha molto cambiato, e in meglio. Veneriamo Alfa Romeo e Mercedes come un tempo la Vergine Maria".

Mi chiedo.

E' un'affermazione esagerata? E' un modo tutto cattolico-irlandese di porsi di fronte al progresso?

Oppure è la strada più semplice e diretta per affermare come il benessere economico non sia necessariamente portatore del "bene"?

Giù le mani da Berlinguer

berlinguer1.jpg

Un titolo leggermente sopra le righe per questa istantanea dedicata al segretario del partito comunista italiano morto nel 1984.

Di Enrico Berlinguer ha parlato il neo sindaco di Roma Gianni Alemanno nel suo primo discorso in consiglio ("Strade per Almirante, Berlinguer, Craxi, Fanfani"). E a me non sono piaciuti né modi, né tempi, né finalità delle sue parole.

Intitolare una strada a qualcuno non costa nulla. Per un sindaco è, in fondo, l'atto più semplice e meno costoso.

Annunciare, all'inizio del proprio mandato, di voler intitolare una strada a personaggi di questo calibro ha il sapore di una voglia di abbracciare tutto e tutti, rapidamente e senza indugi. E si sa, anche per esperienza di vita comune, che gli abbracci poco meditati non sempre sono portatori di affetto e amore.

Pronunciare uno dietro l'altro i nomi di Almirante, Berlinguer, Craxi e Fanfani è per me, che ho passato quasi cinquant'anni della mia vita nel secolo scorso, a dir poco cacofonico. A essere precisi è una errata lettura della storia.

No, signor sindaco. La storia non si cambia con le targhe stradali. La storia la si scrive con le azioni di ogni giorno e lei, la sua storia di sindaco, deve ancora scriverla. Io le auguro, per il bene della mia città e del mio paese, che la scriva come la sta annunciando in questi giorni e che quindi possa, tra quattro anni, far incidere sulle targhe stradali quei nomi. Anche gente come me, a quel punto, la applaudirà.

Però, fino ad allora, signor sindaco, giù le mani da Berlinguer, per favore.

Si, so' fascista

Monte Argentario, domenica, ore 10, un bar con i tavolini al sole. Due giovani uomini, chiaramente dell'Europa orientale, chiedono due caffé. La ragazza che serve li ascolta, entra nel bar, chiede i due caffé e prepara il vassoio. Interviene il padrone del locale: "Per chi sono? Per i due romeni? Che se li vengano a prendere loro". "Come?", chiede la ragazza. "Che se li vengano a prendere loro i caffé, tu non glieli portare". La ragazza, rossa e a occhi bassi, riferisce. I due giovani romeni si portano il caffé al tavolino da soli.

Roma, lunedì, ore 9,30. Via Catanzaro, zona piazza Bologna. Un uomo, palesemente di nazionalità non italiana, cammina con il suo cane. Un passante lo apostrofa ad alta voce. "Tanto ve rimannamo tutti a casa a carci ner culo e se magnamo puro er cane". Un negoziante esce sulla strada: "Ma non si vergogna? Anche noi siamo stati poveri. Lei è un fascista, ecco cos'è, un fascista". Il passante risponde alzando ulteriorimente la voce: "Si, so' fascista. E allora?".

Oscar e Natalie

pistorius-02.jpg

natalie2.jpg

Oscar Pistorius ha vinto la sua battaglia. La medaglia che questo piccolo blog gli aveva già assegnato è diventata più grande e di metallo più pregiato. Se facesse il tempo necessario per andare a Pechino o per andare a Londra la medaglia aumenterebbe ancora il suo peso specifico e se, poi, arrivasse sul podio, diventerebbe una medaglia vera.

Ma Pistorius, forse, non ha bisogno di una medaglia vera come, forse, non ne ha bisogno Natalie Du Toit, la ragazza senza una gamba che nuoterà a Pechino.

Anche lei, come Pistorius, ha messo il proprio coraggio e la propria determinazione a correggere il percorso di una vita segnata dalla sventura.

E hanno vinto. Tutti e due

Ombre e poltrone

dalema_veltroni.jpg

Sinceramente volevo prendermi una pausa. Avevo deciso, dentro di me, che per qualche settimana non avrei dedicato un'istantanea alla politica italiana. Ma quello che sta succedendo nel partito democratico nelle stesse ore in cui Silvio Berlusconi ha stabilito il record di velocità nella formazione di un governo, mi ha obbligato a un ripensamento. E a dedicare questa istantanea a Walter Veltroni e Massimo D'Alema.

No. Non si può litigare pubblicamente per la costituzione di un governo-ombra.

No. Non si può dare spettacolo di eterne discussioni e divisioni. Soprattutto non lo si può fare quando la coalizione vittoriosa dà, almeno apparentemente, prova di forza, determinazione e coesione.

No. Non si può dimostrare, in modo così esplicito, che non si è non dico capita la lezione, ma che nemmeno ci si sta sforzando di porre le basi di un nuovo agire politico.

Forse, invece di contendersi poltrone-ombra, ci si poteva ritirare tutti insieme da qualche parte a riflettere.

E a cercare di capire.

Molto da capire

alemanno.jpg

"Ero a comprare un paio di jeans nel negozio di una nota famiglia ebrea di Roma, mi ha squillato il telefonino e mi hanno detto che Alemanno aveva vinto. Ho chiuso la telefonata con un'imprecazione aspettando gli echi da chi era intorno a me. Invece, dopo un attimo di silenzio, mi è arrivato addosso un sonoro e inequivocabile 'E vaiiiiii...' del padrone del negozio, felice che un neo o post fascista diventasse sindaco della sua città. Ho lasciato perdere i jeans e me ne sono andato".

Questa piccola storia me l'ha raccontata un amico di antica militanza Pci-Pds-Ds-Pd, una persona schietta e perbene. Ma nella reazione di quel negoziante e nello stupore irritato del mio amico c'è una delle più chiare chiavi di lettura di quello che sta accadendo a Roma e nel nostro paese.

Gli schemi sono saltati, i ragionamenti a cui sono abituate le generazioni che hanno le loro radici nel secolo scorso non stanno più in piedi. Persino l'antitesi più netta del Novecento, odore-di-fascismo ed ebrei, non ha più un valore assoluto.

E quella che era la sinistra, compreso chi scrive e il suo amico, ha ancora molto da capire, forse troppo.

I passi indietro

maroni.jpg

Roberto Maroni, se diventerà ministro degli Interni, sarà l'uomo-sicurezza. Ma i primi passi, per ora solo parole e dichiarazioni, mi sembrano affrettati e pericolosi. A cominciare dall'idea di mettere in discussione Schengen, quella parola magica che ci consente di girare per buona parte di Europa senza passare frontiere, come fossimo all'interno di un unico, grande paese.

E' vero che non si può assistere inermi, come in parte ha fatto il governo Prodi, all'assedio di gruppi di delinquenti organizzati.

E' vero che il buonismo di cui la sinistra si è sempre vestita è una delle cause della sua sonora sconfitta elettorale.

E' vero anche che vivere con un buon tasso di sicurezza è requisito essenziale di una società civile.

Ma non si possono abolire principi e diritti.

Non si possono mettere all'indice interi gruppi nazionali.

Bisogna invece mettersi tutti intorno a un tavolo per prendere decisioni rapide ed efficaci, senza gogne preventive e passi indietro nella storia di un continente. E questo, finora, non è mai stato fatto.

Bucare il nero

 veltroni.jpg

Avevo pensato a un quadrato nero come istantanea post-elettorale. Nero come vedo adesso nel futuro del nostro paese. Non per mancanza di rispetto verso la maggioranza dei miei concittadini. Ma per i valori e gli interessi che guideranno l’Italia nei prossimi cinque anni.

Invece del nero ho scelto questa foto di Walter Veltroni.

Non per ottimismo, ma per speranza.

La speranza che da questo gesto di assunzione di responsabilità si riprenda un cammino difficile, ma dritto e capace di bucare il nero.

Se il direttore gioca a nascondino

Franco Giustolisi è giornalista di lungo corso, anzi di lunghissimo corso. Abbiamo lavorato insieme, abbiamo scritto libri a quattro mani, mi ha trasmesso passione e impegno professionale. L'altro giorno mi ha mandato una lettera che ha spedito al presidente dell'Ordine dei giornalisti. In buona sostanza Giustolisi sostiene, con la forza polemica e cruda che gli è familiare, che il direttore di una testata giornalistica non può omettere di dare notizie.

Giustolisi ha ragione. Un uomo serio che di mestiere fa il giornalista non omette una notizia perché immagina di dare fastidio al proprio padrone. L'indignazione è comprensibile e condivisibile.

E' il ricorso agli organi professionali (associazioni e ordini)  che non dico di non condividere ma che mi sembra, come poi è stato, inutile.

Penso che nel tempo dell'informazione veloce e globale, che sta sgretolando giorno dopo giorno le mura che i giornalisti hanno eretto a propria difesa, l'importante sia parlare, discutere, far circolare le proprie idee. Non chiedere una radiazione che non farebbe che rafforzare un Ordine destinato, prima o poi a scomparire.

Per questo pubblico volentieri la lettera di Giustolisi nelle pagine di questo piccolo blog.

Fucili e notizie

fucili4.jpg

Immaginiamo per un attimo che questa mattina i giornali, invece di titolare in prima pagina sulla minaccia di Bossi di prendere i fucili, avessero dato alla notizia un peso diverso.

Titolo a una colonna in pagina interna: "Bossi minaccia ancora di prendere i fucili".

Sarebbe stato meglio o peggio? La notizia sarebbe stata sottovalutata?

L'esempio di Bhaichung

bhaichung-bhutia.jpg

Bhaichung Bhutia, campione indiano di calcio, si è rifiutato di portare la fiaccola olimpica.

E' un esempio semplice, chiaro, dignitoso e forte di come si possa far diventare il viaggio del fuoco di Olimpia il più grande aiuto che l'umanità possa dare al popolo cinese.

E' un invito perché non ci sia tappa e metro della lunga traversata dove non si parli di quello che avviene in Cina. E forse è un'arma più pacifica ed efficace del boicottaggio, di cui, del resto, non parla quasi più nessuno.

Choc da Olimpiadi

lhasa.jpg

L'anno scorso, a Shangai, ho chiesto a una donna che parlava un ottimo inglese cosa pensasse delle migliaia di condanne a morte che vengono eseguite ogni anno in Cina. Mi rispose che non sapeva e che, comunque, non le importava molto. Tornò a parlarmi del progetto per suo figlio, dell'Università in Australia.

Quella donna mi è tornata in mente leggendo le cronache dal Tibet. Saprà nulla lei di quello che accade veramente ai confini dell'impero? Le importerà qualcosa? Probabilmente non saprà nulla e anche se sapesse, anche se la censura non funzionasse così bene, gliene importerebbe poco. Non per cattiveria o menefreghismo, ma perché è una cinese abbastanza ricca che, per la prima volta nella storia nota della sua famiglia, può pensare al benessere proprio e dei suoi discendenti.

Là dove non sono finora arrivati l'orrore della morte e dell'oppressione potrebbe arrivare un evento pacifico come le Olimpiadi. Se saltassero, se metà del mondo si rifiutasse di andare a correre e saltare a Pechino allora anche la mia amica di Shangai potrebbe subire uno choc. E capire.

Che cosa? Che i soldi distribuiti tra pochi non bastano a fare un paese ricco e giusto. Che sfruttare i più deboli per rimpinguare i più forti è la peggiore strada verso il futuro.

Boicottagio delle Olimpiadi di Pechino? Sì, se non cambia qualcosa.

Il ritorno di Esperanza

esperanza.jpg

In queste giornate tese e convulse, con le elezioni tra un mese esatto, voglio sorridere almeno per il tempo di scrivere un'istantanea.

Esperanza, è questo il nome della giraffina, sta tornando a casa. O, meglio, sta andando nella patria dei suoi avi, l'Africa.

E' nata a Roma, al Bioparco (ex giardino zoologico), in cattività. Tra qualche mese la metteranno su un aereo che la porterà nella savana. Dove sua mamma non è mai stata e dove, immaginando per un attimo che una giraffa sappia e pensi, non avrebbe mai pensato di andare.

E' il viaggio all'incontrario di animali sottratti da secoli e da millenni al loro ambiente naturale. Il viaggio della libertà.

Pensiamoci bene, è davvero un piccolo sogno che si avvera. Il sogno di uno di noi che, bambino, durante la visita al giardino zoologico si era chiesto: perché tutti questi animali stanno in prigione?

E quando i sogni si avverano vale la pena fermarsi un attimo per goderseli. E per sognare che altri ancora si possano avverare.