Choc da Olimpiadi
L'anno scorso, a Shangai, ho chiesto a una donna che parlava un ottimo inglese cosa pensasse delle migliaia di condanne a morte che vengono eseguite ogni anno in Cina. Mi rispose che non sapeva e che, comunque, non le importava molto. Tornò a parlarmi del progetto per suo figlio, dell'Università in Australia.
Quella donna mi è tornata in mente leggendo le cronache dal Tibet. Saprà nulla lei di quello che accade veramente ai confini dell'impero? Le importerà qualcosa? Probabilmente non saprà nulla e anche se sapesse, anche se la censura non funzionasse così bene, gliene importerebbe poco. Non per cattiveria o menefreghismo, ma perché è una cinese abbastanza ricca che, per la prima volta nella storia nota della sua famiglia, può pensare al benessere proprio e dei suoi discendenti.
Là dove non sono finora arrivati l'orrore della morte e dell'oppressione potrebbe arrivare un evento pacifico come le Olimpiadi. Se saltassero, se metà del mondo si rifiutasse di andare a correre e saltare a Pechino allora anche la mia amica di Shangai potrebbe subire uno choc. E capire.
Che cosa? Che i soldi distribuiti tra pochi non bastano a fare un paese ricco e giusto. Che sfruttare i più deboli per rimpinguare i più forti è la peggiore strada verso il futuro.
Boicottagio delle Olimpiadi di Pechino? Sì, se non cambia qualcosa.