Istantanea Pier Vittorio Buffa

Nemmeno per un minuto

No, non si sospendono i lavori del Parlamento per consentire a un partito di decidere come reagire a una decisione della magistratura. No, proprio no, nemmeno per un minuto. Non si tratta sui giorni, sulle ore. Non si mescolano i poteri, non si ingarbugliano le responsabilità.

Un partito come il Pd dovrebbe essere, in materie come questa, talebano, rigido, inamovibile. Non può dividersi, non può concordare una sospensione dei lavori del Parlamento che è, di fatto, una protesta contro la decisione della Corte di Cassazione di fissare, per il prossimo 30 luglio, il processo Mediaset.

Stamattina Antonio Polito, sul Corriere della Sera , ha scritto che "stiamo camminando sul ciglio del burrone".  E' la sensazione che ho avuto per tutta la giornata di ieri 10 luglio.

Mi piace

Non c'e' da aggiungere altro a quello che la presidente della Camera Laura Boldrini ha scrittto all'amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne. Se non il sintetico, chiaro, planetario "mi piace", "I like".

Ha scritto la presidente dopo aver declinato l'invito a visitare una fabbrica Fiat per "precedenti impegni":

"Non sara' certo nella gara al ribasso sui diritti e sul costo del lavoro che potremo avviarre la ripresa".

 

La vergogna di Ustica

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Scrivo questo post per dare il mio piccolo contributo a diffondere una storia non nuova che si sta però arricchendo di nuovi e inquietanti dettagli.

Si parla della strage di Ustica (accertare responsabilità nazionali ed estere ha detto il presidente della Repubblica nel 33° anniversario).

Si parla dell'incidente di Ramstein (67 morti tra la folla) causato dalle Frecce tricolori.

Si parla della manovra che ha causato l'incidente. Quella del tenente colonnello Ivo Nutarelli. Da subito definita dall'Aeronautica frutto di un errore. Oggi considerata il risultato di un sabotaggio che doveva portare alla morte del pilota.

Sono queste infatti le conclusioni a cui arriva una lunga contro inchiesta voluta dai familiari del colonnello e di cui sta dando dettagliatamente conto "Il Tirreno". La si può leggere qui.

Nutarelli inseme a Mario Naldini, anche lui morto a Ramstein, si alzò in volo da Grosseto la notte del 27 giugno 1980, la sera di Ustica. Tutti e due su un caccia intercettore, un F104. Si accodarono al Dc 9 Itavia, lanciarono un allarme, ne riferirono al loro comandante. Da quel momento inizia una serie di morti misteriose, dettagliatamente raccontate dal "Tirreno", che sembrano avere un unico filo conduttore.

Fare tacere chi quella notte ha visto quello che non doveva vedere. E impedire, per sempre, di sapere cosa successe davvero la notte del 27 giugno 1980.

I nomi dei responsabili delle stragi nazifasciste del 1944 sono rimasti chiusi per decenni nell'Armadio della vergogna.

E' stato costruito un armadio simile anche per la strage di Ustica? Oppure è possibile che chi sa o può sapere si metta, finalmente, al servizio della verità?

Perché accertare la verità è anche fare giustizia.

(Nell'immagine il tracciato radar del Dc9 il cui originale è agli atti dell'inchiesta. L'aereo civile è identificato dai pallini. Da sinistra, cioè dalla destra del Dc9, i quadratini indicano le tracce di un aereo indicato dagli esperti come un caccia in virata di attacco. Poi la traccia del missile che colpisce il Dc9. L'ìmmagine è tratta da qui)

Della responsabilità

Ieri Berlusconi ha fatto il pompiere in casa propria. Dopo la sentenza della Corte costituzionale che gli ha dato torto ha calmato i suoi e affermato che, comunque sia, il governo Letta non si tocca. Una reazione che ha  atto parlare di "senso di responsabilità" di Silvio Berlusconi.

Ecco. E' su questa parola, su "responsabilità" che mi soffermerei un attimo perché la reazione pacata di Berlusconi pare più dettata da un preciso tornaconto che da "senso di responsabilità".

Il tornaconto è quello di restare in sella, cioè nella maggioranza di governo, per ricavarne il massimo utile politico annullando il vantaggio del centro sinistra delineatosi nelle ultime amministrative.

Far saltare il banco oggi vorrebbe dire, per Berlusconi, affrontare un passaggio elettorale molto, ma molto incerto.

Farlo invece saltare più avanti, quando potrebbe "vendere" come propri i provvedimenti governativi più popolari, potrebbe essere altra cosa. La sua grande capacità comunicativa, che in campagna elettorale diventa straordinaria,  potrebbe portare il centro destra a una vittoria.

Quindi cautela nell'usare l'espressione "senso di responsabilità" in riferimento a prese di posizione di Silvio Berlusconi.

E massima cautela anche solo immaginare, come  si sta riservatamente ipotizzando in queste ore, un patto che, nel caso la Cassazione confermi la condanna per la vicenda Mediaset, eviti all'ex presidente del Consiglio  l'interdizione dai pubblici uffici.

Di patti con Berlusconi che hanno portato vantaggio soltanto all'ex presidente del Consiglio è lastricata la storia degli ultimi vent'anni.

Non mi piace

No, non mi piace quello che sta accadendo nel Movimento 5 stelle (litigi, dimissioni, espulsioni...).

Non mi piace perche' questa involuzione, che sembra inarrestabile, rischia di mandare alle ortiche la grande spinta al cambiamento chiesta da chi ha votato Grillo, circa un quarto degli elettori.

E' vero che quei voti hanno finito, per una scelta politica che si sta rivelando davvero miope, per restare congelati e contribuire alla grave impasse di marzo-aprile.

Ma quello che quei voti hanno chiesto e chiedono e' molto chiaro e non puo' essere eluso.

Se il movimento dovesse mantenere la propria identita' e forza, cosa sulla quale gli osservatori hanno molti dubbi, sarebbe dovere di Grillo, o di chi per lui, dare consistenza politica ai voti di un quarto degli italiani.

Se cosi non fosse e il movimento dovesse in qualche modo implodere, penso sarebbe dovere di tutti i partiti utilizzare quella spinta per dare slancio a un profondo rinnovamento del modo di fare politica?

E questo a cominciare dal Partito democratico.

 

La Seconda Repubblica

Siamo ancora nella Prima Repubblica, quella nata nel 1948 e che negli ultimi vent'anni ha attraversato fasi politiche che ne hanno in parte snaturato la struttura lasciando però sostanzialmente intatto l'impianto generale. Quella che dovremmo costruire è la Seconda Repubblica, sperando che tenga per i prossimi 50-70 anni.

Allora non cominciamo dalla testa, consolidando ciò che è in gran parte all'origine dei mali dell'ultimo ventennio. Ha infatti ragione  Guglielmo Epifani a dire che in Italia, tolto il Pd, ci sono solo partiti "personali" e che i "partiti personali sono per definizione partiti antidemocratici, che rispondono al capo, vivono del leader e muoiono con il leader".

Quindi, per favore, non parliamo di elezione diretta del Capo dello Stato, di semipresidenzialismo alla francese. Forme di governo teoricamente di grande efficienza ma che, se si condivide l'analisi di Epifani,  potrebbero agevolare la nascita o il consolidamento di "partiti personali" favorendo quindi la deriva antidemocratica cui fa indirettamente riferimento il segretario del Pd.

Parliamo invece di togliere al nostro sistema le rigidità imposte ai costituenti dalla situazione di allora, di rivedere le mille cautele istituzionali inserite in Costituzione  per sbarrare la strada a qualunque totalitarismo di ritorno.

Per fare questo si possono scegliere diverse strade, ma ci sono tre o quattro cose che tutti dicono di voler fare ma nessuno ha mai fatto e che invece sarebbero solidi mattoni di una Seconda Repubblica. Eccone solo alcune, e non sono banalità.

Dimezzamento del numero dei parlamentari.

Eliminazione del bicameralismo perfetto (doppia approvazione delle leggi) e creazione di un Senato delle Regioni o comunque di un Senato che abbia competenza solo su materie specifiche.

Rafforzamento dei poteri del presidente del Consiglio.

Corsie privilegiate e veloci per i disegni di legge del governo.

Poi la riforma elettorale.

Una nuova legge è, in qualche modo, la premessa e la conclusione di un accordo sulle riforme istituzionali. Anche ai tempi della Bicamerale di D'Alema fu il vero nodo, sciolto il quale sembrò che tutto potesse andare a posto.

La legge elettorale che può dare vita alla Seconda Repubblica è, a mio avviso,  quella capace di favorire l'aggregazione tra le forse politiche e facilitare l'individuazione del vincitore, di chi dovrà governare il paese.

Personalmente ho sempre pensato che le elezioni con il collegio uninominale a doppio turno siano la soluzione migliore. Ma altre ce ne sono che portano a risultati simili. Cioè alla scelta, chiara e univoca, della coalizione che esprimerà il capo del governo.

Quanto al presidente della Repubblica è bene che per il momento resti lì. Eletto dal più ampio schieramento possibile di grandi elettori (magari diversamente scelti) ma con una funzione di garanzia e di punto di equilibrio dell'intero sistema. Una funzione che mi sembra a tutt'oggi preziosa ed essenziale.

Non ha vinto nessuno

Il primo turno delle amministrative non lo ha vinto nessuno. O meglio, lo hanno vinto solo quei candidati, come Ignazio Marino, che hanno raccolto ampi consensi personali.

Gli altri tutti sconfitti. Partiti, movimenti, politica.

La nostra democrazia ancora no, non ne è uscita sconfitta, ma sicuramente non ha dimostrato, domenica e lunedì, di passare uno dei suoi periodi migliori.

Se nella capitale del paese la metà circa degli elettori non va a votare per il proprio sindaco vuol dire che qualcosa si sta incrinando, e anche in modo profondo.

Non parliamo per favore di larghe intese che tengono, di Pd che aumenta, di Pdl che sconta la non presenza in campo di Berlusconi. Diciamoci invece che c'è solo una strada da percorrere. Fare (chi ha le leve del potere) e chiedere (noi) una buona politica. Onesta e trasparente, attenta agli interessi generali, capace di isolare chi approfitta del potere che gli viene dagli elettori, chi ruba.

Sembrano delle ovvietà. Ma bisogna ripartire da qui tutti quanti. Altrimenti tra gli sconfitti ci sarà anche la nostra democrazia.

Io voto Chiara Ferraro

Domenica si vota per il Comune di Roma. Io sono un cittadino romano e ho deciso di dare il mio voto di preferenza a Chiara Ferraro, candidata al consiglio comunale nella lista civica di Ignazio Marino.

Chiara ha ventidue anni, è una ragazza epilettica con diagnosi di "autismo e disabilità cognitiva". Se eletta andrà in Comune accompagnata dal padre, che è il suo tutore. Qui c'è una sua storia-ritratto.

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Quella di Chiara è una candidatura che ha suscitato dibattiti e polemiche. C'è chi ha sostenuto la sua inutilità. O anche come possa essere il risultato di uno "sfruttamento" da parte della famiglia e degli operatori che la seguono.

Io, invece,  la voterò perché penso che Chiara consigliere comunale, con la sua sola presenza, suggerirà comportamenti più pacati e riflessivi. E perché, sedendo in consiglio, ricorderà a tutti, giorno dopo giorno, che nella nostra città vivono anche persone come lei che devono avere il rispetto e l'appoggio, totali e incondizionati, della comunità alla quale appartengono.

Le parole di Silvia

silviatortora10070202La cosa più semplice di questo mondo l'ha detta una donna che ha molto sofferto, la figlia di Enzo Tortora, Silvia.  A Berlusconi, che si era paragonato al padre e aveva poi accusato lei e la sorella Gaia di aver perso, quando gli avevano replicato una prima volta, un'occasione per stare zitte , ha risposto con le parole che dovrebbero essere di tutti gli italiani.

A Tommaso Ciriaco, di Repubblica, Silvia Tortora ha detto:  "Invito il presidente Berlusconi a non perdere l'occasione di rinunciare ai privilegi parlamentari  e a quelli derivanti dall'essere titolare di fatto di emittenti televisive. Affronti quindi tutte le sue vicende giudiziarie da cittadino normale, così come fece mio padre che si dimise da europarlamentare".

Qualcuno può non condividere parole del genere?

Qui per saperne di più sul caso Tortora

Andreotti e le Brigate rosse

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Giulio Andreotti. In alto: Alberto Franceschini negli anni Settanta

Del progetto delle Brigate rosse di rapire Giulio Andreotti, morto ieri all'età di 94 anni, ne parlò per la prima volta, con me e Franco Giustolisi, il capo brigatista Alberto Franceschini, nel 1987. Ecco come ho ricostruito quel racconto in un articolo per questo giornale.

“Poi c’è la storia di Andreotti, di quando lo volevamo sequestrare”.

Primavera 1987, carcere romano di Rebibbia. L’ex capo delle Brigate rosse Alberto Franceschini inizia così a raccontare del sequestro mai avvenuto, del progetto brigatista che se fosse andato in porto avrebbe cambiato la storia d’Italia: il rapimento di Giulio Andreotti.

Con Franco Giustolisi stavamo raccogliendo i racconti di Franceschini, uno dei fondatori delle Brigate rosse, da cui sarebbe poi nato il volume “Mara, Renato e io”. Ricordo la nostra sorpresa nell’apprendere, per la prima volta, che le Br avevano avuto nel loro mirino il leader democristiano. Iniziammo con le domande, volevamo saperne il più possibile.

Piano piano il racconto si definisce nei dettagli. Prendono corpo date e luoghi. Si delinea l’immagine che i brigatisti avevano del capo dc.

Siamo nell’estate del 1974. A maggio si è conclusa, con il rilascio dell’ostaggio incolume, l’azione più clamorosa fino ad allora compiuta dalle Brigate rosse, il sequestro del magistrato genovese Mario Sossi.

È proprio Franceschini, che ha condotto l’azione Sossi, a puntare in alto, a ottenere il via libera dall’organizzazione per preparare la “cattura” di Giulio Andreotti. Argomenta Franceschini con noi: “Colpendo Andreotti avrei raggiunto un mio obiettivo di sempre, farla pagare alla Dc. E me lo sognavo fotografato con un rospo in bocca, di quelli preparati per le elezioni del 1948, da fare ingoiare ai democristiani”.

Franceschini arriva a Roma seguendo alla lettera le tecniche di mimetizzazione brigatiste. Alloggia nelle pensioni intorno alla stazione Termini. Arriva a mezzanotte, dà un documento falso, se ne va la mattina alle sei.

Poi i primi appostamenti e i primi pedinamenti.

Andreotti esce dalla sua casa di corso Vittorio Emanuele ogni mattina, molto presto, sempre alla stessa ora. Chi conosce quel pezzo di Roma può facilmente immaginarlo mentre cammina lungo il muro seguito dal giovane brigatista barbuto, forzatamente disinvolto, stupito, come ricorda lui stesso, di essere a Roma, nel cuore del potere. E stupito di essere a pochi passi da un uomo potente  come Andreotti che va a messa senza nessuno a proteggerlo. Il brigatista è diffidente, vuole verificare che non ci siano poliziotti o carabinieri nascosti. Va vicino ad Andreotti, lo sfiora, si volta per chiedergli scusa, lui lo guarda “con il suo sguardo ineffabile”. Nessuno interviene, il ministro della Difesa è proprio senza scorta.

È stato quello il momento in cui le Brigate rosse e Giulio Andreotti sono stati più vicini. Così vicini e in modo così semplice che Franceschini se ne torna al Nord convinto che il sequestro si possa fare. Parla con gli altri e ricorda: “Mi ascoltarono come se stessi raccontando una favola. Il potere era nelle nostre mani e tutto mi sembrava bello, facile, troppo facile”.

Arriva l’8 settembre 1974, il giorno in cui vengono arrestati lo stesso Franceschini e l’ideologo brigatista Renato Curcio. Il progetto di sequestrare Andreotti abortisce per trasformarsi dopo nemmeno quattro anni, e in tutto un altro contesto, nella strage di via Fani e nel sequestro e uccisione di Aldo Moro. Andreotti ne sarà, in un certo senso, ugualmente protagonista: il 16 marzo 1978, in una Roma silenziosa e attonita, presenta il suo quarto governo votato anche del partito comunista. Un’alleanza ritenuta, probabilmente a ragione, il vero obiettivo dell’”operazione Moro”.

Antipolitica

Quello che è successo oggi, gli spari a piazza Colonna mentre il governo giura, sono la controprova di quanto fosse urgente che un governo nascesse.

Anche se si dimostrerà che lo sparatore è isolato, che non fa parte di un'organizzazione, che non è agente di un complotto.

Il governo doveva nascere perché non ci doveva essere più spazio per quella che viene definita l'antipolitica.

L'antipolitica è quel sentimento di rifiuto della politica, quindi dei meccanismi dello stare insieme e insieme fare andare avanti un paese. E' un sentimento diffuso, che si percepisce girando per le strade. Semplicistico e banale dire che l'antipolitica sono Grillo e i grillini. Non lo sono. Quella del M5S è politica che sta facendo fatica a esprimersi, ma è politica.

L'antipolitica è quella di chi non ci mette la faccia, di chi distrugge senza avere idea di cosa debba essere costruito.

L'antipolitica è quella che arma la mano di una persona che gira per la città in giacca e cravatta e vuole "sparare ai politici".

L'antipolitica è anche quella cosa che oggi mi fa dire quello che non pensavo di arrivare mai a dire. Un governo così, che starà su  con i voti del partito di Berlusconi, era ed è l'unica strada percorribile. Anche perché in questo governo ci sono una donna nata in Congo ed Emma Bonino.

Non ce la faccio

Mi piacerebbe riuscire a sottoscrivere la frase con cui oggi il direttore di Repubblica Ezio Mauro, chiude il suo editoriale: "Un'altra sinistra è possibile, nell'interesse del Paese, a partire da questo naufragio".

Ma oggi proprio non ce la faccio. Perché la sinistra italiana è quella che ci ha portato sin qui, allo spettacolo indecente del 19 aprile. Non è un'altra.

E' quella fatta di questi dirigenti, di questi quadri, di questi sostenitori. Anche di questi elettori. Incapaci, tutti quanti insieme, me compreso che ho votato per Bersani alle ultime primarie, di capire come il paese è cambiato. Di scegliere nuovi leader. Di pensionare non in base all'età anagrafica, ma in base al tasso di malafede e di interesse personale che si mischia alla lotta politica.

Spero solo di riuscire a sottoscrivere la frase di Ezio Mauro il prima possibile. Non certo per me, ma per il mio paese.

No, non ci siamo

Il cambio di rotta del Partito democratico era a un passo.

Il nome di Stefano Rodotà sarebbe stato il nome perfetto per creare un ponte tra il grande partito della sinistra italiana e il movimento che, piaccia o non piaccia, sta interpretando il bisogno di pulizia e rinnovamento che viene dalla pancia dell'Italia.

Convergere su Stefano Rodotà sarebbe stato, per il Pd, come dire: ecco abbiamo capito da che parte dobbiamo andare, qual è la strada da seguire.

Invece l'accordo con Silvio Berlusconi. Ripeto, con Silvio Berlusconi.

No, segretario Bersani, proprio non ci siamo. Per il suo partito, per l'Italia, per noi tutti.

E per la prima volta nella mia vita mi pento di un voto che ho dato.

Quello dato a lei, alle ultime primarie del partito democratico.

Mano ferma ed esperta

"Assolutamente commossa e anche sopravvalutata". Così ha detto Milena Gabanelli appena saputo di essere la candidata dei Cinque Stelle al Quirinale. Una bella frase che rende ancora più limpida, se ce ne fosse bisogno, la sua figura.

La scelta fatta dai militanti del movimento grillino è conseguente a quello che sostengono da sempre. Donna, non politica, fuori di quella casta di cui è fustigatrice seria e documentata.

Ma ho un dubbio. Perché in questa nostra Repubblica una persona deve essere chiamata, o proposta, per mestieri che non sono i suoi? Nei minuti successivi alla notizia in molti, in rete, si sono posti la domanda. Uno per tutti Enrico Mentana, con questo tweet

Ecco, condivido in pieno.
Al Quirinale preferirei una persona capace di guidare i processi politici con mano ferma ed esperta.
E alla Rai, che così tanto influisce sul destino del nostro paese, una persona capace di guidare palinsesti e trasmissioni con mano ferma ed esperta.

Il coraggio di cambiare davvero

Sono d'accordo con i grillini che bisogna far presto, che non bisogna perdere tempo, che il Parlamento deve legiferare. Meno d'accordo con l'idea di occupare le Camere, ma questo non è molto rilevante.

Il problema è che in politica, come in molte cose della vita, la fretta, insieme all'ansia che la determina non sono buone consigliere. Spesso sfasciano senza creare vie di fuga o alternative praticabili.

Oggi il presidente Napolitano ha fatto riferimento a quello che accadde nel 1976, quando comunisti e democristiani ebbero il "coraggio" di percorrere la strada delle "larghe intese".

Ecco, coraggio. Può essere questa la parola chiave.

Allora Berlinguer e Moro si misero in gioco totalmente per creare un futuro in parte condiviso.

Oggi non bisogna certo ripristinare i meccanismi di allora, di quasi 40 anni fa. Ma ritrovare quel coraggio si, bisognerebbe.

Il coraggio di tenere ben ferma la barra dei propri principi e della proprie convinzioni. E, contemporaneamente, il coraggio di sapersi mettere in gioco per perseguirli, certo, ma anche per creare un futuro al paese il più possibile condiviso.

Un'operazione difficile, non impossibile. Che dovrebbe stare a cuore proprio a chi, come i parlamentari del M5S, il paese lo vuole cambiare davvero.