Istantanea Pier Vittorio Buffa

"Per fortuna che l'hanno trovato morto"

Reggio Emilia. Un bambino di origine pachistana muore annegato in un canale. Un uomo di 37 anni, sulla pagina Facebook della Gazzetta di Reggio, commenta così la notizia della sua morte: "Per fortuna che l'hanno trovato morto, se no ci toccava mantenerlo". Il giornale rimuove il testo ma ormai tutto è successo. Il terribile commento diventa virale, gira in rete, viene ampliato, strumentalizzato. Giuseppe Boi racconta tutto, nel dettaglio, in questo articolo intitolato "Il leone da tastiera si pente" che si conclude così: "Ricordiamoci tutti la logica dei social: nulla si crea e nulla si distrugge, ciò che facciamo resta per sempre ed è visibile a tutti".

Un concetto che va sottolineato, rafforzato, articolato. I social, Facebook davanti a tutti, hanno cambiato la nostra vita. E la migliorano giorno dopo giorno perché fanno circolare idee e notizie, emozioni e dolori, paure e gioie. La loro potenza, lo sappiamo, è straordinaria. Ma proprio perché sono potenti vanno saputi usare. Scrivere su Facebook non è come parlare al bar tra quattro amici. E' come andare in una piazza, salire su un palco, prendere il microfono e dire quello che si pensa a centinaia, migliaia di persone. Quando una parola è detta, è detta. Chi l'ascolta ne farà l'uso che crede e la storia di Reggio è solo una conferma di questa inevitabile catena.

Quell'uomo, prima di scrivere "Per fortuna che l'hanno trovato morto", doveva immaginarsi di urlare le stesse parole in un microfono, nella piazza principale della propria città piena di gente, in diretta radio e televisiva. Probabilmente, anzi, sicuramente, sarebbe rimasto in  silenzio.

Ecco, quando scriviamo in rete facciamo anche noi questo esercizio, immaginiamoci in quella piazza.

Il compromesso sulla tortura

La buona notizia è che da oggi, 5 luglio 2017, anche in Italia la tortura è un reato.

La cattiva notizia è che quella approvata definitivamente dalla Camera è, come ho già scritto, una legge di compromesso. Un compromesso al ribasso.

Nelle dichiarazioni di chi, nel Partito democratico, si è occupato della legge e l'ha sostenuta ci sono, anche se appena accennati, segnali di non completa soddisfazione. "Un risultato importante, il migliore possibile oggi in Parlamento" (Anna Finocchiaro). "Il testo sarebbe stato più incisivo se non fosse stato modificato due anni fa" (Walter Verini). Affermazioni che possono essere lette come un impegno politico. Adesso che la parola tortura è entrata nel nostro ordinamento diamoci da fare per farla diventare quello che dovrebbe essere. Un reato proprio del pubblico ufficiale, che non ha bisogno di essere reiterato per essere consumato, sostanzialmente imprescrivibile.

Ce la farà mai il Pd a fare questo passo ulteriore? Riuscirà a costruire, o a contribuire a costruire, la forza politica necessaria per sconfiggere il corporativismo che ha finora coperto chi ha disonorato la propria divisa e il proprio giuramento? Sarà capace di inserire la "vera tortura" nel suo programma elettorale?

Tortura, una legge da cambiare

cucchiLunedì 26 giugno la Camera dei deputati torna a discutere di tortura sulla base del testo approvato dal Senato. Un testo  sbagliato che introduce sì il reato di tortura ma lo fa in un modo tale da rendere sostanzialmente inapplicabili le sanzioni previste.

Senza entrare nel dettaglio è sufficiente ricordare che al momento del voto, al Senato, si è assentato Luigi Manconi, che questa legge aveva proposto e che portava il suo nome. Che Amnesty international, che quando si parla di tortura e maltrattamenti è un indiscutibile punto di riferimento, l'ha definita "difficilmente applicabile". Che un gruppo di autorevoli giuristi la definisce "un'informe creatura giuridica". Che il commissario dei diritti umani del Consiglio d'Europa ha chiesto al Parlamento italiano di modificare la legge perché quella attualmente in discussione non è in linea con gli standard internazionali.

E non si può non essere d'accordo con queste dure critiche. La legge, per esempio, non configura la tortura come reato proprio del pubblico ufficiale e prescrive, perché si possa parlare di tortura, che il fatto sia "commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità".

Eppure sarebbe tutto molto semplice. L'Onu ha definito la tortura nel 1984 (qui il testo integrale della Convenzione) e basterebbe rifarsi all'articolo 1 per approvare una legge capace di individuare e punire il pubblico ufficiale che commette il più ignominioso dei reati: utilizzare l'autorità conferitagli dallo Stato, cioè da ciascuno di noi, per usare violenza su una persona che gli è affidata.

Perché in uno Stato civile ciascuno deve poter entrare in una caserma o in un commissariato con la certezza che verrà trattato secondo la legge, senza aver di fronte a sé la terribile immagine di Stefano Cucchi e degli altri massacrati da tutori dell'ordine che hanno tradito il loro giuramento.

La Camera, dove la sinistra ha, teoricamente, una salda maggioranza, può cambiare rapidamente il testo. E al Senato potrebbe cercare i consensi necessari a far diventare legge un testo in linea con la legislazione internazionale. Sempre che lo voglia davvero e non si lavi la coscienza approvando una legge sbagliata.

Effetto maggioritario

E' naturale che nelle elezioni comunali si assista a una "bipolarizzazione" dello schieramento politico. E' la diretta conseguenza del sistema con il quale vengono eletti i sindaci, un sistema che spinge con forza verso l'aggregazione delle forze politiche per consentire al candidato di vincere al primo turno o di andare al ballottaggio. E' quello che accadrebbe anche a livello politico nazionale se per eleggere il parlamento avessimo, per esempio, un sistema a collegi uninominali più o meno puro.

Rischioso quindi trarre indicazioni frettolose dal voto dell'11 giugno. Anche perché ogni città, come sappiamo, fa storia a sé e in questa tornata elettorale questa banale affermazione è ancora più vera se si pensa  alle città più grandi andate alle urne: Palermo, Genova, Parma, Verona.

Tra le domande cruciali poste dal voto due riguardano i Cinque Stelle.  Hanno terminato la loro ascesa? E' iniziata la fase calante del movimento? Sinceramente non vedo elementi sufficienti per rispondere con ragionevolezza. E sarebbe miope da parte del centro sinistra e del centro destra dare il movimento per sconfitto.

Caso mai ci sarebbero da fare ulteriori riflessioni sulla legge elettorale con cui gli italiani dovranno scegliere il prossimo parlamento. Una legge proporzionale favorirebbe la "tripolarizzazione" di cui si è finora discusso. Una legge maggioritaria favorirebbe fenomeni come quelli dell'11 giugno, la "bipolarizzazione" dello schieramento politico. Le leggi elettorali non possono certo far cambiare idea agli elettori. Ma hanno la straordinaria forza di incanalare la volontà popolare, di farla diventare, o meno, forza di governo.

Anche dopo l'11 giugno, quindi, la partita è sempre la stessa. Stabilire le regole per le prossime politiche. Il voto amministrativo, caso mai, ha mischiato le carte e ha fornito ai giocatori, e agli elettori, la visione plastica degli effetti di un sistema  capace di spingere le forze politiche ad aggregarsi.

Il rischio tedesco

export.1.1446243.jpg--_ecco_come_ho_finanziato_le_cene_a_renzi_e_berlusconi__Siamo al martedì successivo alle prossime elezioni, quelle che si svolgeranno con il sistema elettorale sul quale i quattro maggiori partiti sembrano ormai d'accordo. Il cosiddetto "sistema tedesco" adattato, sostanzialmente un proporzionale più o meno puro.

Il primo partito (dicono alcuni degli ultimi sondaggi) è il Pd, un po' come, nei primi 50 anni o quasi della Repubblica italiana, era la Democrazia cristiana. Il presidente della Repubblica, verosimilmente, inizia le consultazioni, quell'antico rito che vede sfilare al Quirinale ex capi di Stato e delegazioni di partito per poi dare l'incarico al leader del partito vincitore, Matteo Renzi.

Renzi accetta con riserva, fa anche lui le sue consultazioni e poi torna sul Colle per sciogliere la riserva perché ha trovato un accordo con Forza Italia per formare un governo di coalizione. Così due partiti che si sono combattuti per più di vent'anni, due partiti che dovrebbero incarnare due concezioni opposte della vita pubblica, dello sviluppo, dei rapporti sociali, si ritrovano a governare insieme. Ma almeno, si potrebbe pensare, sarà uno stabile governo capace di durare una legislatura. Invece no, perché sarà un governo esposto ai venti parlamentari, ai cambi di casacca, ai piccoli gruppi che si potranno formare acquistando forza e potere attraverso la capacità di essere decisivi per le sorti della maggioranza.

Questo scenario non muterebbe molto se il partito più votato dovesse essere il Movimento 5 stelle. Cambierebbero gli attori dell'accordo di governo, ma ci si muoverebbe sullo stesso palcoscenico e con lo stesso copione.

Quindi crisi di governo durante la legislatura sempre dietro l'angolo come ai vecchi tempi,  quelli che quasi tutti gli italiani speravano non tornassero più.

E questo anche perché, come in molti hanno osservato in questi giorni, è bene ricordare che al sistema tedesco che si sta per adottare manca un requisito essenziale e impossibile da inserire perché è materia costituzionale. La "sfiducia costruttiva", quella formula magica che consente ai cancellieri tedeschi di restare alla guida del paese per tutta la legislatura. In poche parole il Bundestag può sfiduciare il cancelliere solo se, contemporaneamente, ne nomina un altro.

Ci piace questo scenario? A me, devo essere sincero, proprio no. Mi sembra che ci si stia preparando a correre un brutto rischio, il rischio tedesco, appunto, che, però, di tedesco non ha nulla

#20maggiosenzamuri

20maggio_locaOggi non sono a Milano. Ci sono passato due giorni fa e, se avessi potuto, ci sarei rimasto volentieri fino a oggi, 20 maggio, per partecipare alla grande marcia contro tutti i muri e  le divisioni, per l'accoglienza. Perché oggi, per le strade della città, ci sono tutti coloro che pensano che la "partita" delle migrazioni non si gioca con la violenza e la chiusura. Ma con le buone regole, l'umanità, l'integrazione.

E con questo post che, per quello che può contare, lo considero come la mia personale adesione al "20 maggio senza muri", voglio ricordare un passaggio dell'intervento di Emma Bonino al Lingotto, lo scorso 11 marzo. Il passaggio in cui ricorda quando Nelson Mandela le disse “Sai, se ci sono i moscerini in un grande stagno, i fucili non servono. Forse è meglio bonificare lo stagno”. "E io credo", ha chiosato la leader radicale, "che dobbiamo bonificare lo stagno riducendo l’ irregolarità, la clandestinità, il lavoro nero, le donne nigeriane costrette a prostituirsi, i minori non accompagnati che non sappiamo dove sono finiti. Ma per fare questo noi dobbiamo soprattutto prosciugare il nostro stagno di paura, pretese, stereotipi e pregiudizi: questo mi piacerebbe per governare questo Paese in un problema che sarà con noi per decenni".

Pistole per tutti

M9-pistoletQuando si alza l'asticella sotto la quale è lecito difendersi da soli sino a uccidere non è mai un buon segno. E' come se lo Stato abdicasse al proprio ruolo, come se la comunità rinunciasse a difendere i propri membri contro violenze e soprusi.

Non c'è nemmeno bisogno di entrare nel merito della proposta di legge approvata dalla Camera e ora all'esame del Senato sulla legittima difesa per capire che quella imboccata non è la strada giusta. Prima di ritoccare quelle norme, prima di stabilire che si è più liberi di sparare contro un ladro, anche disarmato, bisognerebbe lavorare sulla prevenzione e sul controllo del territorio, sull'efficienza e sulla formazione delle forze di polizia, sulle loro dotazioni... Non bisognerebbe, bisogna. Altrimenti si fa demagogia e si crea violenza.

Un 25 aprile per i bambini

Senza titolo-1120630_DSC6928_c_2La mia amica Simona Zinanni, che insegna alle elementari di Cuvio (Varese), mi ha raccontato che qualche giorno fa dei bambini hanno chiesto perché il 25 aprile è festa e si sta a casa. Simona, allora, ha preso l'iniziativa e ha chiesto di poter mettere insieme le due quinte della scuola. "La seconda guerra mondiale", mi ha spiegato, "non rientra nel programma delle elementari, così ho dovuto fare una breve premessa per inquadrare il periodo". Poi ha proiettato sullo schermo il girotondo dei bambini di Sant'Anna di Stazzema (nella foto in alto) e ha letto la storia di uno di quei bambini, la storia di Enio Mancini (nella foto), sopravvissuto alla strage del 12 agosto 1944 grazie  a un giovanissimo soldato tedesco dagli occhi azzurri che non uccise, sparò in aria e fece scappare le donne e i bambini che gli erano stati affidati. "L'ho scelta", mi ha spiegato la mia amica, "perché mi sembrava particolarmente adatta ai bambini perché  non si limita a raccontare la tragedia ma lascia anche un segno positivo sulla speranza di trovare umanità e pietà anche nei nostri nemici".

L'effetto è stato immediato. "Dopo poche righe la classe era come ipnotizzata. Alla fine della lettura è partito un applauso commosso. Credo che questi alunni  abbiano capito perché il 25 aprile è una festa e non lo dimenticheranno tanto facilmente!".

Ecco. Facciamo tutti così, facciamo come Simona. Scegliamo una storia, un evento particolare, una persona, un gesto... E raccontiamolo. Ai bambini che abbiamo intorno, ai giovani, a chiunque pensiamo possa essere utile.

Utile a dare sempre più sostanza a una festa che rischia di perderla e che sta anche diventando una triste occasione in cui si si divide e ci si conta. Utile a creare una memoria della nostra comunità che sia forte e condivisa. Utile a guardare in avanti sapendo bene il sangue e il dolore che sono serviti per arrivare fin qui.

Le tre Storie

Al Festival internazionale del giornalismo di Perugia, la scorsa settimana, si è parlato, come sempre, di tante, tantissime cose. Tre le voglio condividere su questo blog perché sono di interesse davvero generale e hanno un forte denominatore comune. Condividere senza tanti commenti, perché non servono.

Due sono Storie molte note: il caso Regeni e il caso Cucchi. Il pubblico ha ascoltato, applaudito, quasi fisicamente abbracciato i genitori di Giulio e la sorella di Stefano con applausi dal ritmo intenso, affettuoso, appassionato. Tutti dovrebbero avere la possibilità di stare a pochi metri dai genitori che hanno visto un figlio ucciso perché faceva il proprio lavoro o dalla donna che ha avuto il coraggio di esporre il corpo martoriato del fratello per avere giustizia. Le loro parole sono semplici, dirette, vanno al nocciolo del problema. Fanno capire come una società civile non possa mai smettere di pretendere giustizia, esigere verità, chiedere il rispetto delle leggi e della persona umana.

La terza  è una Storia di identica gravità, ma meno nota e della quale, proprio per questo, bisogna parlare. E' un'altra drammatica Storia in cui non c'è verità, non c'è giustizia, non c'è rispetto. E c'è una sostanziale inazione del governo italiano.

E' la Storia di Andrea Rocchelli, fotografo di 31 anni ucciso in Ucraina il 24 maggio 2014 insieme ad Andrei Mironov. Tre anni dopo non si sa chi  lo ha ucciso e perché. L'inchiesta è piena di omissioni e falsità. L'oblìo era sembrato scendere su una vicenda in cui, ancora una volta, sono in gioco principi essenziali. L'incontro con i suoi genitori e con William Roguelon, il fotografo francese testimone diretto e mai  ascoltato del duplice omicidio, si è concluso anch'esso con applausi dal ritmo intenso, affettuoso, appassionato. E ha avuto, dichiaratamente, un obiettivo preciso. Spingere il governo italiano a "riaccendere i riflettori", a pretendere risposte dall'Ucraina.

Qui sotto i filmati dei tre incontri di Perugia, per stare a pochi metri dai genitori, dalla sorella, dal testimone. E fare anche noi il nostro applauso, accendere i nostri riflettori.

La forza di Ventotene

170201_81D1916_remove_lowNegli ultimi mesi ho avuto un privilegio. Per preparare un libro che esce tra pochi giorni ho passato tanto, tanto tempo con gli uomini  segregati dal fascismo sull'isola di Ventotene. Volevo raccontare le storie di chi vi è stato rinchiuso perché antifascista e che poi non è arrivato fino in fondo. Non è riuscito a vedere il frutto del proprio sacrificio, l'Italia libera e democratica, perché ucciso da una malattia, da un plotone d'esecuzione nazista, da un lager. Seguendo le loro tracce è come avessi passeggiato per le strade della piccola isola del Tirreno con Altiero Spinelli e gli altri, come se mi fossi seduto al tavolo della loro mensa, la mensa E, la mensa Europa. Mangiato con loro, ascoltato i loro discorsi. Quando poi ho rialzato la testa dal lavoro al libro, sempre faticoso e "isolante", mi sono guardato intorno con uno sgomento che non avevo mai provato.

Avevo lasciato gli uomini della mensa E.

Avevo lasciato tutti gli altri che per le viuzze dell'isola studiavano, discutevano facevano politica e che poi si sarebbero ritrovati al centro della vita politica della Repubblica, nella Costituente, al vertice dei partiti e dei sindacati... Tutta gente chiusa Ventotene per le proprie idee, per non voler alzare il braccio destro nel saluto fascista, per non volersi piegare alla legge del più forte.

Avevo lasciato loro a e avevo ritrovato quel che sapevo, ma che adesso vedevo con maggior lucidità. Un'Europa sempre più in difficoltà, un'Italia attraversata da una tempesta politica senza nessuna concreta base teorica, senza nessuna reale prospettiva strategica.

Allora sono andato a rileggermi, ancora una volta, il Manifesto di Ventotene. Tanto per capirsi le sue prime stesure sono dell'estate del 1941: gli Stati Uniti non erano ancora in guerra, la Germania aveva da poco attaccato l'Unione Sovietica, mancava più di un anno alla disfatta di El Alamein. Eppure l'Europa futura c'era tutta. Un'Europa che doveva rinascere dalle distruzioni della guerra, che doveva portare fratellanza, giustizia sociale, pace. Al suo interno e al di fuori dei propri confini.

Oggi quell'Europa si sta come disfacendo. Lentamente, come per una gigantesca forza d'inerzia negativa. E constatarlo dopo aver "vissuto" a Ventotene per quasi un anno e alla vigilia dei 60 anni dei trattati di Roma fa male, molto male.

Talvolta le medicine più ovvie vengono scartate perché appunto, ovvie e banali. Ma talvolta sono proprie le medicine più semplici a funzionare in modo insospettabile. Ecco, in questo caso la vecchia, buona medicina che su di me ha avuto un effetto eccezionale è sempre la solita. Guardare al passato non per rimpiangerlo o scimmiottarlo, ma per trarne forza per capire il presente e immaginare il futuro.

Nella foto. Ventotene, le rampe che i confinati percorrevano in catene per andare dal porto alla piazza della Chiesa, sullo sfondo l'isola di Santo Stefano (foto P.V. Buffa)

Voli legittimi

012104758-cb31f888-d7d2-452c-ab85-182837650fb4I dati sui voli di Stato divulgati da Repubblica suggeriscono qualche riflessione.

E' ovvio che abusare della propria carica pubblica per avere benefici personali sia una pratica da condannare e perseguire. E lì, in quei dati, di abusi probabilmente ce ne sono. Come è anche probabile, se si vanno ad analizzare le scelte fatte in merito alla flotta di aerei, che ci sia una non efficiente gestione della cosa pubblica.

Ma è il passaggio logico successivo che non funziona. Se, mettiamo, Alfano ha abusato dell'aereo di Stato per tornare a casa sua, questo non deve diventare un pretesto per fare, come si dice, di ogni erba un fascio, e puntare il dito contro chiunque salga su un aereo di Stato. Altrimenti si diventa soggetti passivi di quella egemonia culturale dei Cinque Stelle di cui ha parlato acutamente sul Corriere Angelo Panebianco.

Facciamo qualche esempio nel dettaglio. Il ministro della Difesa Roberta Pinotti ha preso l'aereo per andare, tra l'altro, a Kuwait City, a Bagdad, a Muscat, a Mosul, a La Valletta... Il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan è andato a Francoforte, Bruxelles, Parigi, Bratislava... il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, già ministro degli Esteri, ha girato mezza Europa, è andato in Africa, in Nord America, in Medio Oriente, a Tblisi, Baku, Erevan... per un totale di 54 voli. Tutte destinazioni che non possono non essere collegate a precise funzioni istituzionali (e lasciamo stare la questione sicurezza).

Sostenere, quindi, che gran parte dei voli fatti dai membri del governo italiano con i soldi degli italiani sono voli legittimi dovrebbe essere la cosa più naturale di questo mondo. Perché non vuol dire coprire gli abusi, ma distinguere con precisione tra abuso e uso legittimo. Invece, oggi, se si sostiene una cosa del genere, si rischia di essere additati come difensori della casta, dei privilegi dei politici, dei ladri.

Un rischio che corro volentieri perché sono convinto che non ci si debba mai adattare alle egemonie culturali e che ci si debba sforzare di pensare, sempre, con la propria testa.

 

 

Le colpe del proporzionale

Quello che sta accadendo nel Partito democratico può essere letto in tanti modi. E la responsabilità della scissione, o come la si vuole chiamare, può essere attribuita agli uni o agli altri con argomentazioni che hanno tutte una loro validità. Si può anche ritenere che tutto questo sia la fine della sinistra o l'inizio di una nuova e vera sinistra.

Quello che però sembra fuori discussione è il ruolo che ha avuto, in queste tormentate giornate,  la legge elettorale prossima ventura. Si sa che sulla prospettiva di una legge proporzionale si sta creando, come si dice, una "vasta convergenza". E si sa che una legge proporzionale più o meno pura attribuisce a formazioni anche di piccola o media consistenza un potere notevole, una "forza di interdizione" che altrimenti sarebbe praticamente inesistente. Per capirsi. Se sono minoranza in un partito devo seguire la linea della maggioranza, chiedere posti, avere ben poca forza. Se, invece di restare minoranza, esco dal partito potrò poi discutere con i suoi vertici da pari a pari e ottenere molto di più, sia in termini politici che di visibilità e di potere.

Tutto qui. Certo, alla base c'è un divaricarsi sempre più accentuato delle visioni politiche e sulla concezione stessa di Partito democratico. Ma se non si stesse disgraziatamente tornando a un meccanismo elettorale che la storia e gli italiani avevano condannato più di 20 anni fa l'accelerazione verso la frammentazione della sinistra sarebbe stata senz'altro più lenta o del tutto inesistente.

Un'altra buona ragione per contrastare il ritorno a un sistema elettorale proporzionale.

Di guardia a una buca

Ieri, in mezzo a un incrocio tra due strade di Roma molto trafficate, c'erano due vigili urbani. Non dirigevano il traffico, il semaforo era regolarmente in funzione, ma erano lì, immobili al centro dell'incrocio con le automobili che gli passavano intorno.

Una situazione troppo strana e particolare per non informarsi. Qualche domanda a chi vive intorno all'incrocio e il mistero è svelato. I due vigili sono di guardia a una buca. Sì, di guardia a una buca per evitare che macchine e, soprattutto, motorini ci vadano a finire dentro. Da più di un mese gli abitanti della zona la segnalavano. I portieri di due stabili avevano avvertito ripetutamente i vigili e diverse volte avevano tolto dalla strada i pezzi di asfalto che si staccavano intorno alla buca che si allargava ogni giorno di più. Poi un motorino l'ha presa in pieno, ha rotto una ruota, chi lo guidava ha protestato e solo a questo punto è scattato il piano di emergenza. Due vigili di guardia per un'intera mattina fino a quando gli operai hanno chiuso la buca.

Ma che città è mai questa? Vedere i due vigili di guardia alla buca, pensare a quello che sta accadendo in Campidoglio intorno alla sindaca e mettere insieme le immagini che queste due scene restituiscono ci regala l'istantanea del degrado materiale e culturale al quale la città è abbandonata. Non mi sembra ci sia altro da aggiungere.

 

Il gioco dell'oca

IMG_2838Ricordate il gioco dell'oca? C'era una casella che faceva tornare all'inizio, quella dello scheletro. Ecco, quando, parlando di legge elettorale, si evoca il "proporzionale puro" mi sembra di stare per cadere nella casella dello scheletro, la casella 58.

Formare, come si sta ipotizzando, Camera e Senato con il proporzionale puro (se nessun partito arriva al 40 per cento e si prende il premio di maggioranza) vorrebbe dire tornare a 25 anni fa, al 1992. In quell'anno venne eletto, per l'ultima volta, un parlamento con la vecchia legge proporzionale. Quella di fatto abbattuta dal "referendum Segni". Quella, per capirsi, della cosiddetta Prima Repubblica, dei governi di coalizione, delle infinite trattative, delle elezioni nelle quali tutti "vincevano" o "tenevano" e nessuno perdeva. Insomma di tutto quello che abbiamo voluto lasciarci alle spalle cercando una via italiana all'alternanza, alla certezza del vincitore delle elezioni, alla stabilità dei governi.

Il proporzionale è oggi il sistema che può mettere tutti d'accordo perché, sulla carta, non condanna o non promuove nessuno. Tutti i partiti, grandi e  piccoli, possono aspirare a governare. Tutti dovranno pensare, persino i Cinquestelle, ai possibili futuri alleati. Perché una cosa è chiara. Se nessun partito raggiungerà l'eventuale premio di maggioranza (conquistando un altissimo 40 per cento dei voti) si sarà caduti nella casella dello scheletro. Si tornerà agli incarichi esplorativi, si assisterà alla formazione di alleanze non scelte dagli elettori, si avranno governi che si reggono, magari, sul voto essenziale di piccole formazioni...

Anche se l'Italia è stata governata così per quasi 50 anni io non vorrei vedere questo ritorno al passato. Sarebbe, da parte della classe politica e quindi anche da parte nostra che l'abbiamo scelta, un drammatica dichiarazione di fallimento.

Per cui da oggi, per quello che può valere, dire "No al proporzionale" equivale a mantenere il desiderio e la forza di guardare al futuro. Con coraggio.

 

Terrorismo e memoria

genovaIeri, 16 gennaio, ero a Genova in una scuola, la Firpo-Buonarroti, a parlare di terrorismo, del terrorismo che ha attraversato il nostro paese negli anni Settanta e in parte degli anni Ottanta. Caterina Gallamini e Simona Cosso, docenti dell'istituto, mi avevano invitato come coautore di Mara, Renato e io, il libro che scrissi nel 1988 insieme a Franco Giustolisi per raccontare la storia di Alberto Franceschini, uno dei fondatori delle Brigate rosse.

Un'aula magna silenziosa e attenta. Centocinquanta ragazzi che avevano letto e studiato. Soprattutto riflettuto. E, di conseguenza, le domande sono state appropriate e intelligenti. Hanno voluto sapere dettagli, conoscere sensazioni, approfondire scenari. Ma c'è una cosa che mi ha colpito e sorpreso e che, quindi, mi sembra giusto condividere: una questione che i ragazzi hanno posto più volte, in modo non necessariamente esplicito. Ma perché si parla così poco di quegli anni? Perché non si trovano con facilità libri esaurienti? Perché non c'è nei programmi di scuola?

Gli studenti hanno ragione. Riferendoci alla storia del secolo corso si parla più di Grande Guerra o di sbarco in Normandia che del terrorismo italiano. Eppure quegli anni, a ripensarli e a ricostruirli in pochi minuti davanti a 150 studenti, fanno venire i brividi. Hanno creato dolore e lacerazioni, lasciato dietro di sé una scia profonda. Così profonda che non accenna a sparire.

Chi ha davvero ucciso Moro? Ma c'era davvero un filo rosso che legava le Brigate rosse ai partigiani? E' stata davvero una guerra? Domande alle quali possiamo rispondere solo con opinioni più o meno argomentate.

Ecco, è questo il punto. Con il  terrorismo (come, in parte, con gli anni bui della guerra in Italia del 1943-1945), non abbiamo ancora fatto i conti fino in fondo. Non abbiamo trovato, come si dice, una memoria condivisa. E' come se il dolore, gli odi, le ambiguità di allora fossero ancora tra noi.

Quante generazioni dovranno ancora passare? Per quanto tempo ancora i diciottenni dovranno chiedersi e chiedere: ma perché non ci spiegate per bene cosa accadde?