Istantanea Pier Vittorio Buffa

Caporetto

istanbulCerto che  aprire gli occhi sul nuovo anno con le notizie che arrivano da Istanbul trasmette sensazioni molto forti. Disagio, precarietà, paura, impotenza, rabbia... Forse sono queste ultime due a prevalere, almeno per me.

L'impotenza è quella di percepire come questa guerra in corso si combatta ovunque e contro tutti. Ovvio, viene da osservare, lo si sa da anni. Ma quel babbo natale armato di mitra (nella foto) che semina morte invece che regali dà a questa sensazione, con la quale conviviamo da tempo, una forza inusitata. Come se il travestimento scelto dall'assassino simboleggiasse il ribaltamento di ruoli, l'abbattimento di qualunque punto di riferimento. E noi siamo nelle nostre case attoniti, senza poter far nulla di concreto.

La rabbia è diretta conseguenza dell'impotenza. Quando accadono cose del genere vedi rimpiccolirsi tutto quello che negli ultimi giorni è stato per te importante. Discussioni, problemi, animosità... Tutto sparisce, diventa minuscolo. Ma la rabbia,  se non le si da uno sbocco, consuma, corrode, alla lunga uccide. Bisogna trasformare la rabbia in forza positiva. E questo non lo vedo accadere.

L'ultimo anno che finiva con il 17, il 1917, è rimasto scolpito nella storia del nostro paese come l'anno di Caporetto, l'anno in cui austriaci e tedeschi travolsero gli italiani e in pochi giorni li ricacciarono dalla Slovenia al Piave. Non è bello fare paragoni con una guerra in cui morirono centinaia di migliaia di persone. E non mi piace parlare di vittorie e sconfitte belliche come si fosse a un tavolo da gioco. Ma lo faccio lo stesso, e chiedo scusa in anticipo, perché mi sembra che il parallelo con Caporetto faccia capire meglio di tanti giri di parole quello a cui sto pensando da quando ho letto la notizia di Istanbul.

Caporetto determinò  negli italiani la disperazione per la sconfitta e un senso diffuso di impotenza e rabbia. La rabbia, per tutta una serie di ragioni, riuscì a tramutarsi in una forza positiva  e dare energia alla riscossa degli italiani e alla vittoria finale.

Ecco, l'augurio per possiamo farci per questo 2017 iniziato così è che la rabbia di Istanbul si possa tramutare in una forza positiva. Non per seminare altra morte, come fu nel 1917, ma per fare un passo verso un  mondo più giusto e sereno. Se un augurio del genere, banale e utopico quanto si vuole ma che viene spontaneo, non ce lo facciamo un primo gennaio quando mai ce lo potremmo fare?

Auguri!

 

 

Non solo Milano

barconeHa il fascino e la forza delle grandi sfide l'idea del regista Alejandro Gonzalez Iñárritu di esporre il barcone della morte a Milano, in piazza Duomo.

Il fascino perché è un'idea che spiazza e sorprende ma allo stesso tempo ti fa dire: ma certo, è la cosa più ovvia e giusta.

La forza perché vuole inserire nella vita di tutti i giorni di una grande città il segno tangibile del dolore  e della sofferenza di migliaia e migliaia di uomini, donne, bambini.

Sarà difficile, passando accanto a questo scafo blu, nel quale sono morte 700 persone, voltarsi dall'altra parte e dire: no, non mi riguarda.

Sarà difficile, molto difficile guardarlo con attenzione e dire: no, non li voglio, che restino a casa loro.

Sarà difficile, molto, molto difficile non chiedersi: come si può evitare che sempre più barconi come questo finiscano in fondo al mare?

Per questo c'è da sperare che l'idea del regista messicano con quattro Oscar venga davvero realizzata in piazza Duomo a Milano. E c'è da augurarsi anche molto di più. Che il barcone non venga poi chiuso in un hangar ma inizi un lento girovagare che lo porti nelle grandi città italiane. A cominciare da Roma.

 

E adesso sì

>>>ANSA/EUROPEE: ULTIMA VOLATA, I TRE LEADER NELLE PIAZZEDal mese di aprile, quando argomentai perché la riforma costituzionale era a mio avviso errata e perché bisognava opporsi alla sua approvazione, sono successe davvero tante cose. Così tante e complesse che approfondire le conseguenze delle nuove norme costituzionali, analizzarne distorsioni e disequilibri, sembra quasi un esercizio inutile e stantio e decidere in serenità sembra oggi impossibile. Lo scontro sul voto è ormai tutto politico, di schieramento. Prescinde quasi completamente dal reale contenuto della legge. Si fa propaganda per slogan, si voterà di pancia e non di testa. E' quindi secondo me obbligatorio decidere di votare tenendo conto di quello che è accaduto da aprile a oggi. Provo ad abbozzare un ragionamento isolando alcune delle questioni sul tappeto.

  1. L'errore iniziale del presidente del Consiglio Matteo Renzi, quello di dire "Se non passa la riforma io me ne vado" è diventato il padre (o la madre) di tutti gli errori. Ha fatto diventare il dibattito, e il conseguente voto, sul merito del testo di riforma una lotta tra due schieramenti nella quale l'Italia si sta dividendo in un'atmosfera da 1948.
  2. In questi giorni, a sentire certi dibattiti e ad ascoltare le opinioni della gente comune, sembra che essere per il sì voglia dire essere per la conservazione, per mantenere il potere ai politici, per dare il paese a Renzi e ai suoi. Ed essere per il no sembra invece voglia dire essere tra coloro che vogliono davvero il cambiamento, che vogliono mandare a casa i politici corrotti, che vogliono una nuova Italia. Una semplificazione irritante e profondamente errata.
  3. Renzi e i suoi, con tutti gli errori commessi, "non sono" la vecchia classe politica e hanno comunque cercato una soluzione a problemi mai risolti (dall'ormai mitico bicameralismo perfetto, al Cnel, alle Regioni, alle province...). E stanno comunque cercando, pur con errori non secondari, di dare una rotta diversa al nostro paese.
  4. Nel fronte del no si mischiano persone integerrime che non vogliono vedere quegli articoli diventare Costituzione, pezzi di sinistra che spesso perdono di vista gli obiettivi strategici, simboli di un passato fallimentare come Silvio Berlusconi, leader politici che hanno inneggiato alla vittoria di Trump (Grillo e Salvini). Schieramento politico a dir poco disomogeneo.
  5. Se vince il sì Renzi ovviamente si rafforza, ma è tenuto a dare seguito a una promessa che, non mantenuta, lo screditerebbe in modo serio e decisivo: la modifica dell'Italicum, per evitare di consegnare il paese al 25 per cento degli elettori, e l'elezione diretta dei senatori. In questo modo due tra le principali storture introdotte dalla nuova Costituzione verrebbero fortemente attenuate.
  6. Se vince il si il paese non viene, per i prossimi decenni, consegnato a Renzi e i suoi, non si va incontro al rischio di una dittatura.
  7. Se vince il no si apre una stagione di grande incertezza con un probabile sbocco elettorale a breve termine. Ma con quale legge elettorale visto che l'Italicum, attualmente in vigore, non prevede l'elezione del Senato? Materia giuridicamente complessa ma non è difficile prevedere su questo tema scontri feroci. Chi ne uscirà vincitore? Se il no vincerà con ampi margini non è difficile immaginare che la guida del paese potrebbe essere presa, in forme articolate, da una strana miscela di Cinque Stelle e Lega.

Messi sulla bilancia questi ragionamenti, calibrati pesi e contrappesi, sono personalmente arrivato a una conclusione per me anomala. Quel no alla riforma costituzionale al quale ero arrivato dopo uno studio del testo abbastanza attento lascia il posto a un sì pronunciato con decisione e con il concreto auspicio che i cambiamenti promessi diventino rapidamente realtà.

 

Maggioranza silenziosa? No, grazie

renziMatteo Renzi sta usando sempre più spesso il termine "maggioranza silenziosa" per individuare gli italiani che, secondo lui, se ne stanno in silenzio, ma poi voteranno si al referendum. Beh, molti degli italiani che hanno qualche anno sulle spalle potrebbero davvero irritarsi a essere individuati come "maggioranza silenziosa". In Italia la maggioranza silenziosa, un movimento nato nel 1971, era un misto di qualunquismo, postfascismo e anticomunismo che prese le mosse dalla paura delle piazze rosse, dalla paura del 68. C'è chi potrebbe rispondere a Renzi: "Maggioranza silenziosa a me? In silenzio ti mollo un no, caro Matteo".

Speriamo però che la gran quantità di errori e scivolate accumulate in questa lunga campagna referendaria dal presidente del consiglio (a iniziare dal padre di tutti gli errori: "Se vince il no me ne vado") si perdano per strada e, al momento di votare, ciascuno di noi abbia ben chiaro quello che è in gioco.

Non la vita o la morte. Non il sole o il diluvio universale. Ma cose ben precise e che, purtroppo, più passa il tempo meno sono collegate al merito della riforma che siamo chiamati a votare.

 

La strada indicata da Renzo Piano

terremotoHo riletto, in questi giorni, un articolo scritto dall'architetto e senatore a vita Renzo Piano ai primi di ottobre. Un articolo per il Sole 24 ore in cui espone in modo semplice e chiaro quello che ritiene si debba fare per difendersi dai terremoti.

Spiega che abbiamo tecniche e conoscenze necessarie. E spiega, abbastanza nel dettaglio, come bisognerebbe operare. Non serve riassumere, le parole di Piano vanno lette, bastano due minuti. Il suo è un progetto di lungo respiro, lo definisce generazionale perché dovrebbe intervenire nel passaggio del patrimonio abitativo da una generazione all'altra. Dovrebbe "curare" le case, renderle sicure.

Non so se quella indicata da Piano è la strada giusta. Non ho le conoscenze necessarie per avere un'opinione tecnica. So però che è giusto il passo suggerito da Piano. Un passo che non porti a mettere toppe qua e là, dove il sisma ha colpito, dove ci sono più famiglie senza più una casa. Cose che vanno fatte, bene e subito, ma che non affrontano il problema nel medio e lungo periodo.

Ecco. Il governo, fino a questo momento, sta dimostrando di saper agire con prontezza ed efficienza. Sarebbe un segno di vera lungimiranza e cura dell'interesse pubblico se creasse, parallelamente, un qualcosa (una struttura, un gruppo di lavoro...) capace di produrre in poco tempo un piano di cura e prevenzione di lungo respiro e che abbia il passo indicato dal senatore Renzo Piano.

Il dolore etiope

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Etiopia. Un paese che conosco e nel quale qualche anno fa mi sono immerso. Difficile, duro, povero, poverissimo. La sua capitale, Addis Abeba, è la Bruxelles d'Africa, è la capitale dell'Unione africana. La sua storia è piena di sangue e sofferenze, molte inferte anche dagli italiani. Le sue chiese protocristiane sembrano un ponte tra civiltà.

Oggi, nel silenzio, l'Etiopia sta precipitando in una sanguinosa guerra civile. Nascondersi dietro un facile "è un paese  che non conosco, cose complesse da capire" è inutile. Per alzare l'attenzione basta sapere che ci sono centinaia di morti, che la gente viene arrestata per le sue idee, per la sua appartenenza etnica, perché è giornalista, perché ha un blog. Che un atleta (Feyisa Lilesa, secondo nella maratona), dopo aver fatto il gesto delle manette alle Olimpiadi, ha dovuto chiedere asilo politico per non rischiare la vita tornando a casa. Che l'Etiopia sta per sedere nel Consiglio di sicurezza dell'Onu per due anni. E che ai primi del mese, quando era in visita di Stato in Italia, il presidente etiope ha risposto a Mattarella, che esprimeva il suo cordoglio, che la colpa dell'ultima strage era "dell'azione di alcuni facinorosi".

Alzando l'attenzione si può contribuire a rompere il silenzio planetario che avvolge le sofferenze di una popolazione. E chiedere che la ragione di Stato non prevalga sulla tutela dei diritti umani.

Per saperne di più:

Il rapporto di Amnesty International

Il rapporto di Human Rights

 

Non facile

In vista del referendum del 4 dicembre sulla riforma costituzionale una questione cruciale non riguarda quella riforma bensì la legge elettorale. Una questione all'apparenza complessa e molto tecnica ma decisiva per l'assetto istituzionale prossimo venturo.

La legge chiamata "Italicum", in massima sintesi, consente al partito che raccoglie inizialmente anche solo il 20-25 per cento dei voti di arrivare, dopo il ballottaggio e grazie al premio di maggioranza, ad avere la maggioranza della Camera dei deputati. E quindi di consentirgli, se dovesse essere confermata la riforma della Costituzione, di esprimere da solo il presidente del consiglio, dare la fiducia al suo governo, approvare leggi, nominare tre giudici costituzionali eccetera eccetera. E' il nodo del dibattito intorno alla riforma costituzionale, emerso con chiarezza anche durante il confronto televisivo tra Matteo Renzi e Gustavo Zagrebelsky. In altre parole: una legge elettorale che dà così tanto potere a un solo partito, anche se non ha un base di consensi maggioritaria, rafforza il più evidente e sottolineato difetto del nuovo impianto costituzionale. Uno squilibrio di poteri che metterebbe il paese nelle mani di un solo partito senza i necessari contrappesi.

E' per questo che la modifica della legge elettorale è importante e, per certi aspetti, decisiva. Servirebbe una legge capace di favorire l'aggregazione tra le forze politiche, che eviti di consegnare il paese a un partito appoggiato da un quinto degli elettori e che dia il giusto spazio alle opposizioni. I modelli sono tanti. Personalmente vedrei il ritorno ai collegi uninominali del Mattarellum, con o senza ballottaggi e con le dovute correzioni, come un bel ritorno al rapporto diretto dei cittadini con i legislatori. Ma anche altri sistemi raggiungono ugualmente lo scopo. Basta individuarne uno e mettersi d'accordo prima del referendum. Cosa non facile ma nemmeno impossibile.

 

"Ho detto no ed è no"

raggiC'è una cosa, soprattutto, che sconcerta nel comportamento della sindaca di Roma Virginia Raggi. Quel ripetere le stesse frasi, le stesse parole. Non argomentare, non spiegare, non dialogare.

Sulla questione Olimpiadi è come ripetesse un infantile "Ho detto no ed è no". Non è andata a vedere i dossier, non ha avuto la forza politica di confrontarsi con il presidente del Coni. Anzi, ha fatto peggio, si è sottratta parlando di contrattempi. E, comunque, prima di ripetere il suo "Ho detto no ed è no", aveva riservato alla questione, se anche fosse stata puntuale, un'ora.

Un'ora per capire? Un'ora per ascoltare? Un'ora per entrare nel merito? Non scherziamo.

"Diciamo no ai debiti, alle lobby e alle colate di cemento", ha ripetuto a memoria davanti ai giornalisti. Ma da chi governa ci si aspetterebbero altri discorsi. Discorsi tipo: questo si fa, ma come dico io; questo non si fa; quest'altro si fa ma vigileremo con tutte le nostre forze per sconfiggere lobby e bloccare colate; non voglio le Olimpiadi perché non credo alla loro funzione di volano per una città ma ecco qua, miei cittadini, come trovo gli stessi soldi e cosa ci faccio.

Se tutto questo non accade siamo di fronte a una fuga dalle proprie responsabilità. Una fuga, si direbbe in gergo militare, "di fronte al nemico". Il disonore di un soldato, il peggior difetto di chi vuole governare una città, un paese.

E intanto, mentre la sindaca fugge ripetendo il suo "Ho detto no ed è no" in città c'è sempre l'immondizia, le buche non possono che essere aumentate, di bus e tram ne circolano di meno, intere zone hanno i lampioni spenti, gli spazi verdi sono abbandonati, l'assessore al Bilancio non si trova e gli uffici, per quello che si legge, non hanno ancora capito chi comanda.

Semplicità e consenso

Gianfranco Pasquino, politologo, autore de “Le parole della poGianfranco Pasquino, Andrea Pertici, Maurizio Viroli e Roberto Zaccaria, sostenitori del No al referendum costituzionale, hanno elaborato una proposta di "manutenzione" della Carta in alternativa a quella approvata dal Parlamento e sostenuta dal governo di Matteo Renzi. Eccone una estrema sintesi (qui il testo integrale da scaricare).

Deputati e senatori. Riduzione drastica del numero ma mantenendo lo stesso rapporto tra le due Camere: 470 deputati e 230 senatori. Per un totale di 700 eletti a cui ridurre stipendi e rimborsi.

Governo. La fiducia gli viene data dalla sola Camera dei deputati. Il Senato libero dal "dal vincolo politico con l’esecutivo" potrebbe esercitare al meglio una incisiva attività di controllo.

Formazione delle leggi. Mantenimento della doppia lettura delle leggi con una commissione bicamerale paritetica per approvare leggi su cui le due assemblee hanno posizioni divergenti.

Democrazia diretta. Abbassamento del quorum necessario per la validità di un referendum. Obbligo di pronunciarsi sulle leggi di iniziativa popolare.

Cnel. Abolizione

Sono punti su cui si può essere più o meno d'accordo. Personalmente condivido pienamente quello che delinea Camera e Senato mentre mi convince di meno l'idea di mantenere la doppia lettura delle leggi. Ma quello che difficilmente non può non convincere è il metodo seguito per arrivare a queste conclusioni.

Il metodo, come si spiega nel breve documento che  illustra la proposta, della semplicità e del consenso. Per questo si parla di "manutenzione con modifiche significative" e si mantiene il bicameralismo perché non si registra"la necessaria convergenza per passare al monocameralismo".

Se il governo Renzi avesse seguito lo stesso metodo avrebbe potuto recepire soluzioni che avrebbero evitato il pasticcio del Senato semi-abolito e costruito una legge più efficace e meno "stravolgente".

 

La commozione del borgomastro

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Bastian Rosenau è il giovane borgomastro di un paese tedesco, Engelsbrand, diventato famoso per aver dato un'onorifecenza a un suo concittadino che era stato un sergente delle SS e che in Italia era stato condannato a due ergastoli per le stragi di Fivizzano e Marzabotto. Era un sergente del battaglione di Walter Reder. il 19 agosto, anniversario della strage di San Terenzo Monti-Fivizzano è lì, esattamente nel luogo dove il sergente Wilhelm Kusterer, insieme ai suoi commilitoni, massacrò 159 persone. E' venuto a chiedere scusa, a parlare di pace e fratellanza, a ricordare gli orrori di quegli anni. E davanti ai figli di chi venne ucciso sio è commosso una, du, tre, quattro volte. E' stato un privilegio essere testimone di questo piccolo ma grande avvenimento. Per questo ne ho voluto e ne voglio dare testimonianza. Qui sotto l'articolo che ho scritto per il Tirreno.

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De Gaulle e Renzi

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Rileggiamo insieme una pagina importante della storia recente della Francia.

1969. Presidente francese è Charles De Gaulle, l'uomo della guerra contro i tedeschi e il fondatore della Quinta Repubblica. Va a referendum una riforma costituzionale da lui fortemente voluta e che riguarda Senato e Regioni, due temi che sono parte cruciale anche della riforma costituzionale su cui in autunno saranno chiamati a votare gli italiani.

De Gaulle affida il proprio futuro politico all'approvazione di quella nuove regole e in uno storico discorso del 26 aprile 1969 dice testualmente: "..si je suis désavoué par une majorité d'entre vous...je cesserai aussitôt d'exercer mes fonctions" (Se verrò sconfessato da una maggioranza di voi... cesserò immediatamente di esercitare le mie funzioni).

Il referendum diventa così un voto pro o contro De Gaulle e il generale ne esce sconfitto. Dieci minuti dopo la mezzanotte del 28 aprile annuncia che cessa di esercitare le funzioni di presidente della Repubblica e che questa decisione avrà effetto alle ore 12 dello stesso giorno. Così si ritirò dalla scena politica l'uomo che aveva ricostruito e disegnato la Francia post-bellica.

Anche l'attuale presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi, ha puntato tutto sulla riforma costituzionale su cui andremo a votare nel prossimo autunno. Il 20 gennaio 2016, in Senato, ribadì che "nel caso in cui perdessi il referendum considererei conclusa la mia esperienza politica".

Ecco. In politica i paragoni, spesso, possono risultare azzardati. Ma se Renzi avesse letto (o riletto, o ricordato) cosa accadde in quel passaggio della politica francese forse ne avrebbe potuto trarre qualche monito. Per se stesso, ma anche per il nostro paese.

(Qui sotto i discorsi di De Gaulle e Renzi)

La giustizia secondo Torquato

Bologna Station Blast TrialOggi, 2 agosto 2016, 36 anni dopo la strage alla stazione di Bologna, voglio ricordare un uomo eccezionale che ho potuto conoscere e frequentare: Torquato Secci.

Quel giorno, alla stazione, morì suo figlio Sergio.

Da quel giorno Torquato ha speso tutte le sue energie per avere verità e giustizia. Fonda l'associazione tra i familiari delle vittime. Ne diventa presidente e animatore.

Dice sul piazzale della stazione il 2 agosto 1981: "Per loro (per le 85 vittime, Ndr) vi è solo silenzio poiché dopo un anno non gli è stata ancora resa giustizia".

Ripete dopo un anno: "Oggi rinnoviamo agli uomini di Governo, con maggiore fermezza, la richiesta di rimuovere gli ostacoli che ancora intralciano il cammino verso la verità che cerchiamo. A noi, sino a questo momento, è stata negata giustizia; la patria del diritto non può permettere che la legge non sia uguale per tutti".

E così, anniversario dopo anniversario, fino al 1995. L'anno dopo, in aprile, Torquato muore senza conoscere quella verità che aveva cercato con lucida e disperata energia.

Lucida perché mai una volta l'ho visto perdere il controllo di sé. Accusava con forza ma pacatamente. Con cognizione di causa ma usando con abilità le sue affilate armi verbali.

Disperata perché aveva forse capito che non  avrebbe mai saputo quel che era davvero successo il 2 agosto. Ma continuava a lottare giorno dopo giorno, ora dopo ora.

E, se oggi fosse qui con noi, Torquato combatterebbe ancora. Perché dopo 36 anni, anche se ci sono dei condannati all'ergastolo come autori materiali dell'attentato, la verità su quell'atto terribile è ancora lontana e giustizia, quella che voleva Torquato, non è stata fatta.

La giustizia che pretendeva è quella che dovrebbe pretendere ciascuno di noi, quella per cui ciascuno di noi dovrebbe lottare. La giustizia che uno Stato sa dare rimuovendo tutti gli ostacoli che consentano di conoscere la verità dei fatti. E questo, negli anni bui delle stragi, non è accaduto.

 

 

Attoniti

diazCucchi: familiari Stefano arrivati a piazzale ClodioIl disegno di legge che inserisce nel nostro ordinamento il reato di tortura dovrebbe essere uno di quelli che superano speditamente l'esame parlamentare e diventano subito legge dello Stato.

Perché punire chi abusa del proprio potere per commettere violenze non dovrebbe essere di destra o di sinistra. Non dovrebbe dividere cittadini e politici tra chi sta con la polizia o contro la polizia. Punire chi abusa del proprio potere per torturare un essere umano va punito. Punto e basta. E' un imperativo al quale nessuna società civile può sottrarsi.

Per questo il rinvio a non si sa quando del disegno di legge in discussione al Senato lascia attoniti.

Lascia attoniti la posizione del ministro dell'Interno (cosa vorrebbe Alfano, che la polizia possa picchiare e torturare?).

Lascia attoniti la non compattezza e decisione del Partito democratico nel chiedere l'approvazione in tempi rapidi.

Lascia attoniti che dopo le torture del passato e del presente e dopo i giovani morti tra le mani di poliziotti ci sia ancora qualcuno che abbia dei dubbi.

Lascia, infine, attoniti che non si capisca come una legge del genere aiuti soprattutto gli uomini in divisa a stare dalla parte giusta.

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Nelle foto: un'aula della scuola Diaz di Genova dopo il "massacro del G8" e la sorella di Stefano Cucchi con una foto del fratello

PS. Per chi voglia capire cosa è successo negli ultimi decenni intorno a questo tema suggerisco di leggere "Il partito della polizia" , un serio e documentato lavoro di Marco Preve pubblicato da Chiarelettere.

 

 

 

Spacchettamento

Spacchettamento. E' la brutta, ma magica parola che in questi giorni sta girando sempre più freneticamente per le strade della Roma politica. Spacchettare il referendum sulla riforma costituzionale vuol dire chiamare gli elettori a votare non più su tutta la riforma, si o no, ma su diversi "pacchetti", su gruppi di articoli omogenei. Lo avevano proposto i costituzionalisti che, lo scorso aprile, si erano pronunciati contro la riforma e ne avevo parlato, condividendo l'idea, anche in questo blog.

Il percorso verso lo spacchettamento, oltre a porre complesse tematiche giuridiche, ha tempi stretti e tortuosi. Ma, malgrado questo, è un'ipotesi che piace sempre di più anche all'interno della maggioranza. 

Il motivo è semplice. Lo spacchettamento disinnescherebbe la bomba a orologeria accesa da Matteo Renzi giocando tutto sull'esito del referendum.  La disinnescherebbe sia nei tempi che nel merito.

Nei tempi perché la procedura complessa, secondo gli esperti, porterebbe a un quasi sicuro slittamento della consultazione alla primavera del 2017, sempre più vicino cioè alla scadenza naturale della legislatura (15 marzo 2018). E con maggior maggior tempo a disposizione per una eventuale, e auspicabile, revisione della legge elettorale.

Nel merito perché ampie parti della riforma riscuotono consensi anche unanimi. Basti pensare al bicameralismo o all'abolizione di province e Cnel. Molti "pacchetti" verrebbero così senz'altro approvati e l'eventuale vittoria del no su alcuni punti (primo fra tutti quello che riguarda il nuovo Senato) avrebbe un impatto politico decisamente minore.

 

 

Una pessima idea

Questa mattina, la mattina della Brexit, sono andato a rileggermi il "Manifesto di Ventotene". Lo scrissero tre confinati d'eccezione: Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni. Lo scrissero nell'agosto del 1941 quando gli Stati Uniti non erano ancora  entrati in guerra e la Germania stava invadendo l'Unione Sovietica. Oggi quelle loro parole sono considerate, come sappiamo, il primo passo verso l'Europa unita, una sorta di suo atto fondativo.

Ho pensato fosse una buona idea, la mattina in cui il disegno europeo fa il suo primo, gigantesco passo indietro, tornare su quelle pagine scritte 75 anni fa.

Invece è stata una pessima idea, una di quelle che mettono di cattivo umore. Rileggere quelle pagine fa capire quanto l'Europa di oggi sia lontana da quella visione. E mette paura, dà fondamenta alla preoccupazione che quello britannico sia solo un primo mattone che si stacca.

Rileggiamo insieme un passaggio cruciale: "Il punto sul quale essi (le forze conservatrici, Ndr) cercheranno di far leva sarà la restaurazione dello stato nazionale. Potranno così far presa sul sentimento popolare più diffuso, più offeso dai recenti movimenti, più facilmente adoperabile a scopi reazionari: il sentimento patriottico (...) Se raggiungessero questo scopo avrebbero vinto. Fossero pure questi stati in apparenza largamente democratici o socialisti, il ritorno del potere nelle mani dei reazionari sarebbe solo questione di tempo. Risorgerebbero le gelosie nazionali e ciascuno stato di nuovo riporrebbe la soddisfazione delle proprie esigenze solo nella forza delle armi. Loro compito precipuo tornerebbe ad essere, a più o meno breve scadenza, quello di convertire i loro popoli in eserciti. I generali tornerebbero a comandare, i monopolisti ad approfittare delle autarchie, i corpi burocratici a gonfiarsi, i preti a tener docili le masse. Tutte le conquiste del primo momento si raggrinzerebbero in un nulla di fronte alla necessità di prepararsi nuovamente alla guerra".

La strada per evitare esiti così catastrofici è scritta più avanti, ed è lo spirito che anima tutto il manifesto. Mettere al centro della costruzione europea il cittadino, i suoi bisogni, il suo diritto all'uguaglianza. E' proprio quello che la nostra Europa ha fatto di meno. E che, invece, deve cominciare a fare di più. E da subito.