Delle dimissioni di un ministro
Il caso Cancellieri, il ministro della Giustizia sospettato di interferenza in un procedimento giudiziario.
Parliamone non per ragionare sulla responsabilità o meno del ministro bensì per dire due parole sul significato e sul valore delle dimissioni di un membro del governo in una democrazia sana.
Dimettersi non vuol dire ammettere di aver sbagliato.
Dimettersi è un dovere che si impone nel momento stesso in cui un fatto incontrovertibile, come è la registrazione di una telefonata, getta un'ombra sulla correttezza dell'operato di un membro del governo. E gli toglie, in questo caso, uno dei requisiti essenziali del buon governo: la sicura imparzialità, l'accertata inflessibilità con se stessi nel trattare allo stesso modo gli amici come gli estranei.
Dimettersi è un esempio per tutti i cittadini, una tutela del valore della cosa pubblica, il massimo gesto di rispetto verso l'incarico di altissima responsabilità che si è chiamati a coprire per servire il proprio paese.
Dimettersi è, infine, un segnale di alta moralità. Chi si dimette può difendersi meglio, al riparo di speculazioni politiche. Potrebbe dimostrare la propria innocenza e buona fede. Potrebbe tornare alla cosa pubblica più forte di prima. Potrebbe dire a se stesso e a tutti: prima ho difeso il mio ufficio, che è molto più importante di me. Poi ho difeso la mia persona.