Il rullo confessore
Tanti anni fa, era l'inizio del 1982, la polizia liberò a Padova il generale americano James Lee Dozier (foto di sinistra), rapito dalle Brigate rosse. Fu una brillante operazione che portò anche all'arresto di molti brigatisti.
Ma poi si cominciò a parlare di "torture": secondo voci non controllate i brigatisti arrestati erano stati "torturati" dalla polizia. Acqua e sale, elettrodi ai testicoli, sigarette spente sulla pelle...
Ecco perché mi è tornata una vicenda di tanti anni fa, perché di sigarette spente si parla anche adesso, nella tristissima vicenda di Stefano Cucchi (foto di destra).
Allora, nel 1982, il direttore dell'Espresso, Livio Zanetti mandò me, giovane cronista, a verificare le voci. Il cronista trovò i testimoni, i poliziotti (uno in particolare, Gianni Trifirò) che raccontarono davvero delle torture, dell'acqua e sale, delle sigarette spente.
Prima di scrivere l'articolo Il rullo confessore (che mi portò anche in prigione per un paio di giorni) passai una notte a ragionare se era giusto quello che stavo facendo. Se cioè avrei fatto bene il mio mestiere gettando ombre su poliziotti che avevano rischiato la vita per arrestare i terroristi e liberare il generale americano.
Decisi che era giusto perché Gianni Trifirò non mi aveva raccontato di pugni e calci mollati durante l'arresto o, comunque, "a caldo". Mi aveva descritto il freddo colpire corpi inermi per estorcere confessioni, abusando del proprio potere.
Questo, in un paese democratico, non è tollerabile. E pensavo che i quasi trent'anni passati da allora, i sindacati di polizia, i garanti dei diritti dei detenuti e tutto il resto avrebbero per sempre impedito che un agente spegnesse una sigaretta sul corpo di un detenuto.
Ma mi sbagliavo.
Il rullo confessore è sempre in azione. E uccide.