Cronisti e no
Vale la pena rischiare la pelle per scrivere articoli che si potrebbero scrivere anche da casa? Questo, in sostanza, si è chiesto Vittorio Feltri parlando in televisione, a Porta a Porta, di Daniele Mastrogiacomo. Ed è al direttore di Libero che voglio scattare l'istantanea di oggi, il giorno dopo il ritorno a casa dell'inviato di Repubblica.
Un'istantanea amara come lo sono le parole di Feltri. Certo, tutti gli articoli possono ormai essere scritti da qualunque parte del globo su un fatto avvenuto dalla parte opposta. Da Buenos Aires posso raccontare di Mosca e da Roma dell'Afghanistan come del Sud Africa.
Portando questo principio alle sue estreme conseguenze si arriverebbe a un sistema informativo mondiale perfetto ed economico. Un unico giornalista per tutti in ciascuna capitale che racconta quello che vi succede agli altri giornalisti che, nel resto del mondo, riportano le sue storie.
Da Kabul arriverebbero cronache inevitabilmente ispirate dal governo Karzai. Da Baghdad sarebbe probabilmente la visione americana della crisi ad avere il sopravvento, da Roma forse nessuno racconterebbe i guai degli ospedali e da Washington non sapremmo dei reduci dall'Iraq che disertano. Questa non sarebbe informazione.
Quindi io non so se vale la pena rischiare la pelle, lo può decidere solo il giornalista che si trova a tu per tu con questa eventualità. So solo che lo sforzo di essere testimoni il più possibile diretti delle storie che si è chiamati a raccontare è la regola base del nostro mestiere, quella su cui viene costruito tutto il resto. A qualunque latitudine e a qualunque longitudine.
Se non si rispetta questa regola si fa dell'altro.