Istantanea Pier Vittorio Buffa

La bicicletta e il terrorista scrittore

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L’arresto in Brasile di Cesare Battisti, condannato a due ergastoli per reati di terrorismo, ha coinciso quasi perfettamente con il quinto anniversario dell’assassinio di Marco Biagi e con le polemiche sull’atteggiamento verso gli ex terroristi. E’ per questo che ho scelto la foto della bicicletta con cui Biagi andò incontro alla morte come istantanea del 19 marzo 2007.

Sono tre gli episodi che hanno preceduto questo 19 marzo.

L’intervista televisiva al fondatore delle Brigate rosse Alberto Franceschini realizzata in via Fani, la strada dove Moro venne rapito e la sua scorta massacrata. L’intervento di Renato Curcio, l’altro fondatore delle Brigate rosse, primia di un dibattito a Napoli. E infine l’arresto, appunto, di Cesare Battisti.

L’intervista a Franceschini ha provocato la protesta delle famiglie dei poliziotti e dei carabinieri uccisi in via Fani e il successivo appello del capo dello Stato a un più rigoroso rispetto dei familiari delle vittime del terrorismo.

Renato Curcio è stato insultato e spintonato. È stato, in sostanza, contestato il suo diritto a partecipare a quel dibattito in cui veniva presentato un libro della sua casa editrice.

Intorno a questi due episodi si è dunque innestata e, probabilmente resterà per un bel po’ sul tappeto, la discussione su quale sia il giusto atteggiamento verso gli ex-terroristi. È giusto che vengano intervistati, invitati a tenere conferenze, candidati, ed eletti, al Parlamento? In altre parole, la sovraesposizione di cui sono stati e sono protagonisti molti di loro è o no una mancanza di rispetto verso chi, a causa del terrorismo, ha molto sofferto?

Molti anni fa, visitando il carcere di Nuoro insieme a Franco Giustolisi conobbi Alberto Franceschini. Dopo un po’ di tempo gli proponemmo di raccontarci la sua storia e ne nacque un libro per Mondadori, Mara Renato e io, storia dei fondatori delle Brigate Rosse. Il primo in cui un capo brigatista si raccontava, l’unico, per quel che ne so, in cui si entra nella vita minuta dei primi brigatisti. Dopo l'uscita di quel libro Franceschini, che era un dissociato dalla lotta armata, andò al tavolo di diversi dibattiti, rispose a domande, parlò in televisione. E’ stato giusto? E’ stato sbagliato? Me lo sono chiesto tante volte in questi anni e le vicende di questi giorni mi hanno fatto mettere ancora una volta mettere questo problema sul tavolo. Mi sono risposto così.

È stato giusto perché Franceschini e tanti altri come lui sono la prova diretta e concreta del fallimento della follia terroristica. Portano sul volto i segni della disfatta e le loro parole di uomini sconfitti non possono che far bene alla nostra democrazia.

E’ stato sbagliato se anche una sola persona direttamente toccata dalla violenza si sente offesa dal semplice fatto che uno come Franceschini parli in pubblico, su un libro, in televisione. A lei deve chiedere scusa l’ex terrorista e chi gli ha dato voce: una, dieci, mille volte.

Ma non bisogna rinunciare a capire sempre di più, a togliere ogni velo da quegli anni, a mettere a nudo la follia che ha percorso un pezzo di generazione. Con equilibrio e serietà, tenendo sempre davanti a sé la bicicletta di Biagi e i lenzuoli bianchi di via Fani e di tutte le altre strade dove i terroristi hanno premuto i loro grilletti.

L’arresto di Battisti sposta ancora più avanti la discussione. Qui siamo di fronte a un ex terrorista latitante condannato a due ergastoli per aver ucciso. Lasciarlo libero in Brasile sarebbe stato gravissimo da parte di uno Stato giusto. E il solo parlare di amnistia, commentando il suo arresto, suona come una profonda mancanza di rispetto verso chi ha sofferto. E soffre ancora.

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