Istantanea Pier Vittorio Buffa

La sentenza di Cefalonia

Istantanea senza immagine perché è, sostanzialmente, la continuazione di quanto avevo scritto in Grazie. Si parla di Cefalonia e del massacro della divisione Acqui. Poco prima di ferragosto il Manifesto ha dato notizia della decisione del magistrato tedesco di non continuare le indagini su quella strage perché non ci sono elementi per considerare quegli omicidi degli "omicidi aggravati". Su questa notizia Marcella De Negri, figlia del capitano Francesco De Negri, trucidato a Cefalonia, e il giornalista Franco Giustolisi, autore dell'Armadio della Vergogna, hanno scritto una lettera aperta. Io vorrei dire due sole cose.
1. La notizia che viene da Dortmund è di quelle che trasmettono amarezza e senso di giustizia incompiuta. Difficile far finta di nulla e difficile liquidare la questione con un "è passato tanto tempo...". Quello che è successo in quegli anni non deve essere dimenticato e ci si dovrebbe proporre, ogni anno, di leggere qualche pagina che racconta. Io, in questi giorni, ho letto "Il morto nel bunker", di Martin Pollack, (Bollati Boringhieri, 2007).
2. Su Cefalonia possiamo dirci, con serenità, che non c'è più bisogno della sentenza di un qualunque giudice per sapere cosa è successo in quell'isola dopo l'8 settembre 1943. La storia, fatta di documenti e testimonianze, la sua sentenza l'ha già emessa da tempo. Fu un massacro a sangue freddo di militari che non avevano voluto cedere le armi senza combattere. Uno dei primi atti della resistenza e della nuova Italia, aveva detto Carlo Azeglio Ciampi quando stava al Quirinale. Come a Porta San Paolo, come in decine di altri posti dove i soldati italiani vennero sorpresi dall'armistizio. Ma Cefalonia fu quello più drammatico e sanguinoso. Li rappresenta tutti.

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11 commenti 8

  • bastian contrario scrive:

    Qui mi sembra il gioco dell'assurdo, ma chi aderi' al nazi-fascismo e oggi trova tutte le scusanti per scappare davanti alle proprie responsabilita'?. Mio nonno non ha mai aderito e nemmeno preso la tessera di quel partito che si è alleato con la peggiore FECCIA che l'umanità abbia prodotto e anzi che da allora in poi dubito che possiamo chiamarla ancora "UMANITA'".E per questo ha pagato caro...si molto caro anzi CARISSIMO le sue scelte e come lui tanta povera e disgraziata gente che non voleva uccidere altre persone per fare gli interessi dei grandi della FINANZA e dei FABBRICANTI D',ARMI (MORTE).Mio nonno è sicuramente morto in PACE con sè stesso,ma dico solo"ARRABIATISSIMO"per non essere volgare per la vita terribile e come lui milioni di PERSONE ,sono state sottoposte.NON DIMENTICHIAMOCELO MAI PERCHE' NON DOBBIAMO NE' VOGLIAMO.Ognuno dentro di se' sa se è in qualche modo RESPONSABILE di questi ORRIBILI E TERRIBILI AVVENIMENTI,anche nelle piu' piccole scelte della quotidianità.

  • Franco Giustolisi ha preso un'altra iniziativa delle sue. Belle, pulite, dettate solo da voglia di giustizia e da onestà intellettuale.
    Ha preso carta e penna, in senso letterale perché non usa il computer, e ha scritto al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per chiedergli una cosa semplice e giusta.
    Perché non organizzare una giornata in ricordo delle vittime del nazifascismo? Sia quelle civili che quelle militari? Sia quelle cadute sotto i colpi dei nazisti in ritirata sia quelle uccise perché non hanno consegnato le armi ai tedeschi?
    L'Armadio della vergogna, il libro di cui Giustolisi è autore, è una sorta di drammatica guida a quegli orrori ed è da lì che nasce la proposta del giornalista. E dagli anni che ha passato girando l'Italia per raccontare, spiegare, far capire.
    Ecco perché mi permetto di affiancarmi a Franco Giustolisi nella sua richiesta al presidente della Repubblica.
    Signor presidente, tra qualche anno sarà scomparsa o quasi la generazione che ha vissuto quegli anni. Ma la memoria non deve sparire con loro.

  • filippini scrive:

    PRECISAZIONI SULLE RESPONSABILITA' DI CEFALONIA

    Il signor Pio D'Amico giustamente scrive che "Finiti gli scontri militari a Cefalonia, le convenzioni internazionali avrebbero voluto che i militari italiani fossero semplicemente imprigionati. Quello che accadde, con le fucilazioni in massa degli ufficiali e dei reparti che avevano offerto la resistenza più accanita, è stato indubbiamente un crimine di guerra".

    Concordo pienamente e non perdonerò mai ai tedeschi di essersi comportati da belve fucilando gli Ufficiali, tra cui mio Padre, (ma non la truppa nelle ciclopiche quantità falsamente tramandate), sia prima che dopo la resa, ma -'sine ira ac studio'- devo rilevare che ad armare la loro mano omicida contribuì proprio il 'legittimo' governo di Badoglio il cui Comando Supremo ORDINO' DI RESISTERE -dal comodo rifugio di Brindisi- SENZA AVER PREVENTIVAMENTE DICHIARATO GUERRA ALL' ALLEATO DI POCHI GIORNI PRIMA ciò che fece 'solo' il 13 ottobre successivo con l'effetto di porre -a norma delle Convenzioni internazionali- i nostri militari nella condizione di 'partigiani o franchi tiratori' passibili come tali di fucilazione immediata al momento della cattura.
    Tale circostanza da cui si originò l'infame massacro degli Ufficiali e -ripeto ancora una volta non anche della truppa- fu di una tale gravità che perfino lo stesso Comandante in capo Alleato, gen. Eisenhower esortò i responsabili italiani a dichiarare guerra alla Germania per evitare gli eccessi e le infamie avvenute a Cefalonia e altrove da parte nazista e oltretutto giustificate da una parvenza di legittimità.
    Ciò è ampiamente provato dal testo del colloquio avvenuto il 29 settembre 1943 a bordo della corazzata 'Nelson' al largo di Malta tra Eisenhower e i nostri capi responsabili Badoglio ed Ambrosio ivi convenuti per la firma dell'armistizio c. d. 'lungo'.
    Ecco il testo dell'agghiacciante colloquio tra gli Alleati guidati dal Gen. Eisenhower e i rappresentanti Italiani a Malta da cui risulta in tutto il suo orrore il ributtante cinismo dei nostri rappresentanti 'consapevoli' di aver inviato al macello i nostri soldati impartendo loro 'l'Ordine di Resistere':

    EISENHOWER: “Desidero sapere se il governo italiano è a conoscenza delle condizioni fatte dai tedeschi ai prigionieri italiani in questo intervallo di tempo in cui l’Italia combatte la Germania senza averle dichiarato guerra”.

    AMBROSIO: “Sono sicuro che i tedeschi li considerano partigiani”.

    EISENHOWER: “Quindi passibili di fucilazione?”.

    BADOGLIO: “Senza dubbio”.

    EISENHOWER: “Dal punto di vista alleato la situazione può anche restare com’è attualmente, ma per difendere questi uomini, nel senso di farli divenire combattenti regolari, sarebbe assai più conveniente per l’Italia dichiarare la guerra”.

    A ciò si aggiunga che anche gli altri Comandanti Alleati -Il Maresciallo Alexander e l’Ammiraglio Cunningham- definirono quanto avvenne a Cefalonia una “lotta pazzesca e inutile”, poichè bastava dichiarare guerra alla Germania per salvare le vite dei nostri soldati: ma questo fu fatto solo il 13 Ottobre 1943 a rappresaglie avvenute..

    Allla luce di quanto sopra è chiaro, pertanto che gli ordini n° 1023 e n° 1029 del 13 settembre 1943 inoltrati dal Comando Supremo al gen. Gandin quindici giorni prima dalla città pugliese CONDANNARONO la "Acqui" a subire la rappresaglia della Wehrmacht e ciò è confermato dal fatto che il primo atto politico del governo del Sud, non appena insediatosi ufficialmente a Brindisi, fu la dichiarazione di guerra alla Germania con cui il re e Badoglio sperarono di evitare le clausole severe della resa incondizionata e magari di ottenere la qualifica di alleati. Speranza vana: gli Alleati accettarono la partecipazione dell'Italia alla guerra come semplice cobelligerante. Era il 13 ottobre 1943.
    In questo lasso di tempo di un mese secondo il diritto internazionale tutti i soldati che avevano preso le armi contro i tedeschi vennero da questi considerati partigiani con le obbiettive conseguenze che sappiamo.
    Queste le risultanze della storia che dovrebbero essere rese note a tutti dagli addetti ai lavori a una parte dei quali -fino ad oggi egemone- ha fatto e fa comodo raccontare solo quel che porta acqua al mulino della loro ideologia.
    Grazie per l'eventuale pubblicazione.
    avv. Massimo Filippini

  • Da Franco Giustolisi ricevo, e volentieri pubblico, questo documentato intervento sulla vicenda di Cefalonia
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    “Italiani traditori” dicono gli assassini (in libertà) di Cefalonia

    Freddo, misurato, impassibile, ma anche stupito. Così Otmar Muhlhauser, l’ex sottotenente nazista dei Gebirgsjager, i cacciatori delle Alpi. Fu lui a comandare il plotone di esecuzione che il 24 settembre del 1943 fucilò a morte in quel di Cefalonia, il comandante della divisione Acqui, generale Antonio Gandin, ed altri ufficiali: “Sono un po’ sorpreso del fatto che dopo così tanto tempo si facciano ancora delle indagini. Anche oggi ho detto la verità, così come l’ho dichiarata nel mio primo interrogatorio in qualità di teste nel 1967. Comunque non ho nulla da rimproverarmi”. Stupore legittimo, perché la Germania del dopoguerra, paese degli assassini nazisti, ha condotto inchieste sino ai giorni nostri concludendole però con un nulla di fatto. Meglio, tuttavia, del paese degli assassinati, vale a dire l’Italia, dove tutto finì nell’armadio della vergogna, sia i fascicoli delle stragi ai danni dei civili, come Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto, Fivizzano, Capistrello, ecc. con un numero imprecisato di vittime, forse 20 mila, sia quelle che colpirono i nostri militari dopo che avevano alzato bandiera bianca, non solo a Cefalonia, ma anche a Rodi, Spalato, Coo, Lero, Koritza...
    E nessuno si è presa la briga di far giustizia, neanche dopo che nel 1994, a circa 50 anni dalla sua creazione, per ragioni di Stato, fu trovato quell’armadio. Sì, è vero, qualche processo è stato fatto, Stazzema, Marzabotto ed altri, ma l’enorme maggioranza si è conclusa nel nulla perché nel frattempo imputati e testi erano deceduti. Però niente per Cefalonia, “il più arbitrario e disonorevole delitto di tutte le guerre”, come fu detto a Norimberga dove il generale Hubert Lanz, comandante del 22° corpo d’armata, da cui dipendevano i Cacciatori delle alpi, fu condannato a 12 anni. Ma ne sconterà solo tre, emigrando poi negli Stati Uniti a dare il suo “alto” contributo per le guerre del futuro, cioè Vietnam ed Iraq. Ma ancor assai miglior sorte Lanz l’ebbe in Italia: il 23 aprile 1960 un giudice militare di Roma, Zingali, lo assolse, leggete, leggete, “per non aver commesso i fatti”, tra l’altro lodandolo per aver “ridotto” il numero delle vittime.

    E’ la prima volta che l’interrogatorio di Mahlhauser viene alla luce. Ve lo proponiamo con le varie lacune, imprecisioni e dimenticanze nonché incoerenze che lo contraddistinguono. L’ex ufficiale nazista che oggi ha 87 anni, tutto sommato ben portati, e che fa ancora il pellicciaio, mestiere appreso dopo la guerra, è stato interrogato tre volte dalla Procura di Monaco di Baviera: il 27 giugno del 1967, come lui stesso ha ricordato, e il 24 e il 30 marzo del 2004.
    Non si abbandona a divagazioni il mastropellicciaio, anche se quel luogo, accanto all’ormai famosa “casetta rossa” dove vennero massacrati i nostri soldati, doveva far ricordare il “Tres de Mayo” di Goya con i morituri madrileni davanti ai fucili napoleonici: “dopo circa un quarto d’ora di viaggio, eravamo partiti dal capoluogo di Cefalonia, Argostoli, raggiungemmo una zona, presumibilmente verso sud. Un luogo pianeggiante dove crescevano diverti tipi di alberi e arbusti. Non ricordo se fummo noi ad arrivare lì per primi. Mi sembra che gli ufficiali italiani fatti prigionieri furono portati con dei veicoli in più riprese. Per primo fu condotto da solo davanti al maggiore Klebe (vice comandante del distaccamento che assalì Cefalonia, deceduto, n.d.r.), il generale Gandin. Non so se lui fosse in divisa, sono passati tanti anni da allora... Il maggiore Klebe lesse una sentenza della corte marziale (non si sa quale fosse e se ci fosse stata, n.d.r.) nella quale Gandin veniva condannato a morte tramite fucilazione. Poi il maggiore chiese qualcosa al generale che però non capii. Poco dopo il generale fu fucilato”. Gli inquirenti chiedono a Muhlhauser di indicare le singole posizioni, lui risponde tra la nebbia dei ricordi: “Il maggiore Klebe lesse la sentenza proprio vicino al generale. Continuando su questa linea, a otto-dieci metri di distanza c’era il plotone d’esecuzione, cioè il gruppo del maresciallo Dehm (anche lui deceduto, n.d.r.) del quale facevano parte dagli otto ai dieci uomini. Il maresciallo Dehm presumibilmente era un po’ spostato in avanti. Come dalle norme previste, io mi trovavo sul lato sinistro del maggiore. Dopo la lettura della sentenza lui chiese al generale se volesse essere giustiziato con gli occhi bendati. Il generale rifiutò la benda. Allora il maggiore si rivolse direttamente a me dicendomi “attenda al suo ufficio... Io sentii solo un altro ordine (probabilmente allude a quello del maresciallo, n.d.r.) che diceva “alzate i fucili..puntate..fate fuoco”. Immediatamente prima dell’ordine di far fuoco, il generale disse a voce alta “Viva l’Italia, viva il re”. Subito dopo crollò a terra”.

    Alcuni sopravvissuti hanno raccontato che il comandante della divisione Acqui si era strappato dal collo la croce di guerra di cui l’aveva decorato personalmente Hitler. Muhlhauser rispondendo ad altre domande dice: “il generale era sicuramente morto immediatamente. Avevano sparato al minimo otto colpi su di lui. Io ebbi l’ordine di preparare il plotone di esecuzione la sera prima direttamente dal comandante del distaccamento maggiore von Hirschfeld, morto successivamente nella campagna di Russia. Gli uomini furono prescelti da una formazione di pionieri che si esercitarono quella stessa sera, al mio comando, sparando a salve”. Aggiunge: “Ricordo di aver visto una volta personalmente l’ordine scritto da Hitler che esigeva la morte dei traditori. Ma può darsi che l’abbia visto quando, forse, lo tirò fuori dal risvolto della manica il maggiore Klebe”. Poi, probabilmente, il momento più difficile per persone un po’ normali, quello dei rimorsi di coscienza. Ma l’indagato risponde senza perdersi d’animo: “se io nella trasmissione dell’ordine provai dei rimorsi? Non posso più dirlo con esattezza. Sapevo che questi ordini dovevano essere eseguiti, io non feci obiezioni”. Da perfetto nazista, evidentemente...: “In fondo il generale Gandin era il comandante di unità che nei giorni precedenti avevano causato numerose perdite tra i miei connazionali (che avevano preso d’assalto Cefalonia, va precisato, n.d.r.) ... Io, per esempio, ero presente personalmente sulla spiaggia quando l’artiglieria italiana fece fuoco contro i nostri traghetti da trasporto, vidi anche dei compagni colpiti in pieno e fatti a pezzi o feriti gravemente. Vorrei dire che ero adirato contro il generale e i suoi ufficiali. L’aria nei confronti degli italiani non era certamente di quelle buone. Comunque la disposizione data per l’esecuzione era per me un ordine superiore irrevocabile”. Va ancora oltre l’assassino (si può definir così? Ma certamente): “tra di noi ufficiali si parlava degli uomini della divisione italiana solo come traditori. Con l’ordine del führer era già chiaro che gli italiani andavano trattati completamente da traditori. E al tradimento vi era un’unica risposta: l’esecuzione”. L’ex sottotenente dopo aver tracciato una sintesi della sua carriera militare (i Balcani, la Crimea, l’Ucraina, la Grecia e avanti sparando) risponde in modo ambiguo se quella di Cefalonia fosse stata la prima volta in un’esecuzione: ”proprio io dovevo eseguire quest’ordine. Questa non era la prima volta. Già nella missione in Caucaso, quando ero un giovane sottotenente, avevo ricevuto un ordine simile. Penso che ricevetti ordini dei quali non ero del tutto convinto che fossero giusti...”. Poi l’evidente contraddizione: “...ad eccezione di Cefalonia non ho comandato altri plotoni di esecuzione”. Da altre risposte in sintesi: non sa se i componenti del plotone che lui comandò e che usarono carabine per uccidere, ebbero agevolazioni particolari. Si ricorda ora, dice, di essersi sentito male dopo la fucilazione del generale: “sono sicurissimo che il “fate fuoco” fu ordinato per le altre cinque o sei fucilazioni dal maresciallo Dehm. Solo nel caso del generale Gandin non ne sono del tutto sicuro. In quel caso l’avrei potuto dare anch’io quell’ordine, ma non so se il suo cadavere fu portato via. In un secondo tempo, dopo la guerra, venni a sapere che, a quanto pare, furono trovati dei corpi in mare”. Specifica che gli altoatesini (Hitler aveva già inglobato l’Alto Adige alla Germania, n.d.r.) furono risparmiati. Non dice nulla dei fascisti che godettero della medesima benevola sorte. Muhlhauser si incontrerà un paio di volte, in convegni sociali post guerreschi, con i suoi commilitoni dei cacciatori delle Alpi. In una di quelle occasioni vide il maggiore Klebe al quale raccontò che era stato interrogato, specificando quel che aveva detto. Al che il suo ex superiore, indignato o preoccupato, gli girò le spalle.

    Le conclusioni del procuratore generale August Stern, contro le quali Marcella De Negri, figlia del capitano Francesco De Negri massacrato a Cefalonia, ha presentato ricorso che il 24 ottobre di quest’anno è stato respinto, sono, al minimo, singolari. Premesso che a certi ordini, come quelli ricevuti da Mahlhauser, in stridente contrasto con le leggi di guerra non si deve ubbidire sostiene: “l’accusato non è scusato per aver agito in seguito ad un ordine, la cieca obbedienza non viene riconosciuta come esimente”. Ma aggiunge, da vero ultimo mohicano di Hitler, “i militari italiani non erano normali prigionieri di guerra. Prima alleati dei tedeschi, si sono trasformati poi in nemici combattenti divenendo traditori, per usare il gergo militare. E’ come se una parte delle truppe tedesche avesse disertato e si fosse schierata con il nemico”. Allora niente paura per il mastropellicciaio: ha ubbidito certamente a un ordine ingiusto, ma dato che non si ravvisano, secondo Stern, aggravanti, il delitto di omicidio viene prescritto visto che sono passati da allora ben più di vent’anni. Ma se proprio l’imputato dichiara di corpi gettati in mare? Furono i nostri marinai ad essere costretti a farlo, e successivamente vennero uccisi. Uno si salvò e raccontò: questo significa aggravante dell’omicidio per coprirne altri. E la vendetta, quella di Hitler, non è forse futile motivo? Altra aggravante. Stern nella sua sentenza del 27 luglio 2006, che tanta indignazione sollevò, dimentica il vero e proprio eccidio che decimò i militari della Acqui. Non c’era solo il generale Gandin e i cinque o sei ufficiali di cui minimizza Muhlhauser a Cefalonia: Queste le cifre che per ora si conoscono, anche se andrebbero un po’ ridimensionate secondo gli ultimi studi: oltre duemila militari italiani morirono in combattimento, contrassegnando, come ha ricordato l’ex presidente Ciampi, il cammino della nuova Italia. Dai 4500 ai 6000 furono massacrati dopo la resa. Altri 3 mila circa moriranno da prigionieri sulle navi naziste bombardate dagli alleati. Se ci contentiamo di portare corone nelle ricorrenze, che gente siamo?

    Franco Giustolisi

  • marcella de negri scrive:

    Grazie a Pio D'Amico, che non conosco, per il suo bell'intervento, esaustivo.
    Prego Pier Vittorio Buffa di pubblicare, se possibile, sia la lettera del Procuratore Militare della Repubblica di Roma A.Intelisano, apparsa su Il Manifesto il 30 agosto u.s. in risposta all'articolo di Guido Ambrosino dell'11 agosto e alla "lettera aperta" di Giustolisi e mia del 16 agosto, ed anche la risposta mia e di Franco Giustolisi , del 4 settembre al Procuratore.
    Tutto questo è facilmente reperibile su "reti invisibili". Grazie.
    marcella de negri

  • Pio D'Amico scrive:

    Voglio intervenire in questa discussione solo per replicare all'intervento di Tony Codraro. Morire in guerra non è mai bello o auspicabile (ma forse Codraro non è daccordo e gli auguro allora di immolarsi nel primo conflitto disponibile). L'Italia non era una proprietà privata di Mussolini, e di conseguenza il popolo italiano, e i suoi soldati, non avevano alcun obbligo morale verso le alleanza stabilite da Mussolini, ma solo verso quelle prese, legittimamente, dall'Italia. L'8 settembre 1943, al termine di un processo che era cominicato il 25/07/1943 con la destituzione di Mussolini, e che era proseguito indubbiamente in maniera vergognosae e assurda dai legittimi governanti dell'Italia, si era arrivati all'annuncio dell'armistizio con le forze Alleate. Un risultato che in quel momento era indubbiamente inevitabile e che era nell'interesse del paese, ma a cui si giunse senza una vero piano d'azione, consegnando il paese all'occupazione tedesca e abbandonando le Forze Armate a loro stesse. La fuga del re da Roma, con il governo e addirittura i vertici militari, è l'emblema di tutto questo. Detto questo, i legittimi governanti italiani avevano assunto una decisione (come a suo tempo Mussolini l'aveva assunta stringendo l'alleanza con la Germania), e per di più sensata: quella di arrendersi agli Alleati. L'onore militare vuole che i militari obbediscano ai propri governanti, consegnando le armi solo ai rappresentanti delle forze armate vincitrici. Ed è quello che hanno fatto i soldati italiani a Cefalonia: hanno difeso con le armi il loro onore e quello dell'Italia, da quello che fin da subito si mostrò di essere il nuovo nemico. Il vero tradimento lo avrebbero commesso passando in armi con i tedeschi, in quanto avrebbero tradito il loro paese e il loro legittimo governo. Finiti gli scontri militari a Cefalonia, le convenzioni internazionali avrebbero voluto che i militari italiani fossero semplicemente imprigionati. Quello che accadde, con le fucilazioni in massa degli ufficiali e dei reparti che avevano offerto la resistenza più accanita, è stato indubbiamente un crimine di guerra. Altre interpretazioni non ve ne possono essere, se non gettando discredito su degli eroi dell'Italia post fascista, e oltraggiando la verità, in nome, evidentemente, di una ideologia che la storia ha condannato e che aveva lasciato l'Italia in ginocchio.

  • Un grazie a Massimo Filippini per aver contribuito, con il suo intervento, a colmare una lacuna informativa

  • Rispondo a Tony Codraro su due punti.
    1. Che i soldati italiani assassinati a Cefalonia siano morti "con disonore" è un'affermazione che fa rabbrividire. Senza tanta retorica c'è da osservare che morirono credendo in quello che stavano facendo e che quindi, fosse soltanto per questo, vanno rispettati perché sono morti "con onore". Ma morirono anche per la causa giusta, che era quella di staccare l'Italia dal buio percorso che gli aveva indicato il fascismo. E quindi morirono non soltanto "con onore" . Ma con "molto onore".
    2. Quanto a Ciampi non ho trovato nessun elemento sulla sua presenza a Cefalonia. Come faceva, del resto, un giovane sottotenente a comandare gli autotrasporti di una divisione? Così ha lui stesso raccontato quel periodo della sua vita: "Ero un giovane ufficiale dell'esercito, di un reparto di stanza in Albania. Il giorno della firma dell'armistizio mi trovavo per caso in licenza a casa, nella mia Livorno. Mi presentai al più vicino comando, ma fu inutile. Pensai poi di andare al Sud per ritornare nell'esercito regolare" (da un discorso tenuto a Piombino l'8 ottobre 2000).

  • "Sine ira ac studio e per amore della verità storica invio un mio articolo sull'argomento scritto all'indomani della notizia dell'Archiviazione di Dortmund da me appresa dalla stampa e non dalla Procura di Dortmund presso la quale mi ero costituito Parte Civile -quale figlio di un Ufficiale fucilato- ad agosto 2003.
    Preciso che l stessa Procura pochi giorni dopo ha corretto il suo errore inviandomi copia del provvedimento.
    Altrettanto ha fatto la Procura di Monaco.
    (http://www.cefalonia.it/LA_MIA_COSTITUZIONE_DI_PARTE_CIVILE_A_DORTMUND.html)

    -L'archiviazione a Dortmund dell'istruttoria sui fatti di Cefalonia-

    Si è appreso da indiscrezioni di stampa che a marzo scorso il dr. Ullrich Maas ha archiviato l' istruttoria da lui iniziata nel 2001 sulla vicenda di Cefalonia nella quale lo scrivente si era costituito Parte Civile ad agosto 2003 per l'assassinio del proprio Padre magg. Federico Filippini.

    Detta istruttoria fu poi trasferita a Monaco senza che il sottoscritto ne fosse minimamente avvertito come ben ha rilevato il giornalista Guido Ambrosino in una corrispondenza al suo giornale 'IL MANIFESTO' in cui ha fatto menzione dell'errore compiuto dalla Procura di Dortmund (della qual cosa lo ringrazio) scrivendo:"Della archiviazione non ha saputo nulla nemmeno l'avvocato Massimo Filippini, figlio del maggiore Federico Filippini, ucciso a Cefalonia il 25 settembre 1943. Come parte lesa Filippini aveva dichiarato già nell'agosto 2003 alla procura di Dortmund l'intenzione di costituirsi parte civile (possibile in Germania solo in caso di rinvio a giudizio".

    Al suo articolo dell'11 agosto leggibile facilmente in internet è seguito poi un servizio de 'IL MATTINO' il giorno 12 del seguente tenore:

    "DALLA PROCURA DI DORTMUND
    Cefalonia strage archiviata
    Aveva riaperto l'inchiesta nel 2001, convinto di poter inchiodare alle loro responsabilità alcuni ex ufficiali tedeschi ancora in vita coinvolti nel massacro di circa cinquemila soldati italiani a Cefalonia, avvenuto con totale spietatezza tra il 22 e il 23 settembre 1943, dopo la resa alla Wehrmacht. La disponibilità delle prove a carico era mutata in maniera decisiva - a detta del capo della procura di Dortmund - dopo l'acquisizione di nuovi materiali dall'Ufficio centrale per i crimini del nazismo e soprattutto grazie all'accesso ai documenti custoditi negli archivi della Stasi, i servizi segreti tedesco-orientali. Invece Ulrich Maass, magistrato di sicura competenza, ha archiviato l'inchiesta su Cefalonia senza neanche un comunicato stampa. Non oggi, ma addirittura nel marzo scorso, anche se soltanto ora ne è stata data notizia grazie alle indagini di un giornalista italiano. Si chiude così dolorosamente (e in assoluto silenzio) l'ultimo capitolo relativo all'eccidio della divisione Acqui, dal momento che già un ramo dell'inchiesta, quello relativo alla fucilazione di 137 ufficiali italiani al capo San Teodoro, era stata archiviata dalla procura di Monaco nel luglio 2006.
    Eppure le interviste rilasciate da Maass a suo tempo erano più che incoraggianti. Il procuratore di Dortmund, che nell'indagine si è servito della consulenza storica di Carlo Gentile, era certo di aver individuato dieci ex ufficiali responsabili della strage, oltre a nuove testimonianze oculari, ai diari di alcuni soldati tedeschi e s'era detto sicuro di poter dimostrare che a Cefaloniasi trattò di omicidio premeditato.
    Oggi invece Maas ha confermato che contro i militari indagati, sei o sette ancora viventi, «non ci sono elementi sufficienti per sostenere un'accusa di omicidio aggravato. E senza aggravanti, il reato cade in prescrizione dopo vent'anni». Inaccessibili ai giornalisti gli atti dell'inchiesta e il decreto di archiviazione. Peggio, neanche i parenti delle vittime sono stati informati. Del resto, anche dell'archiviazione di Monaco si seppe solo perchè in quel ramo d'inchiesta si era costituita parte lesa Marcella De Negri, figlia di un ufficiale fucilato. S.d.s".

    In relazione a tale articolo ho inviato la email che segue al MATTINO il cui contenuto -indipendentemente dalla pubblicazione in detto giornale- mi auguro sia diffuso anche da altri organi di informazione.

    Ecco il testo:

    "Sono l'avv. Massimo Filippini orfano del magg. Federico Filippini fucilato a Cefalonia il 25 settembre 1943 e scrivo la presente in relazione all'articolo da Voi pubblicato il 12 agosto dal titolo "DALLA PROCURA DI DORTMUND - Cefalonia
    strage archiviata".
    Aggiungo che proprio in qualità di Vittima dei fatti mi costituii Parte Civile ad Agosto 2003 presso la procura di Dortmund, all'epoca avente competenza esclusiva per le indagini e l' instaurazione di eventuali procedimenti penali contro membri delle FFAA tedesche, resisi protagonisti di reati comuni quali in particolare l'omicidio in territorio estero durante la seconda guerra mondiale.
    Fui dunque il primo familiare di un Caduto a costituirmi Parte Civile presso l'organo competente ad iniziare l'azione penale contro gli eventuali responsabili di uccisioni arbitrarie i nostri militari (Ufficiali e Truppa) essendo però BEN CONSCIO dei limiti di carattere sostanziale e procedurale che la mia costituzione avrebbe incontrato nella legge penale tedesca analogamente a quanto prescrive anche la legge italiana, i quali, in sostanza, impongono che l'inquirente debba tener conto del principio fondamentale per cui "la responsabilità penale è personale" con la conseguenza -apparentemente inspiegabile per tanti 'ignoranti' di diritto- che anche in presenza di un reato gravissimo come l'eccidio plurimo (sarebbe il caso di Cefalonia) il giudice deve -per poter avviare l'azione penale- essere assolutamente certo della responsabilità PERSONALE degli indagati sia sotto il profilo 'oggettivo' della loro partecipazione al fatto che sotto quello 'soggettivo' della sussistenza riguardo a ciascun indagato di eventuali aggravanti personali quali ad esempio l'aver agito con particolare crudeltà verso le persone circostanze queste ultime le quali, facendo meno il limite della prescrizione ventennale, rendono il reato praticamente perseguibile per sempre.
    I miei dubbi si sono purtroppo avverati perchè come voi avete riportato, "Maas ha confermato che contro i militari indagati, sei o sette ancora viventi, «non ci sono elementi sufficienti per sostenere un'accusa di omicidio aggravato. E senza aggravanti, il reato cade in prescrizione dopo vent'anni».
    Era d'altronde prevedibile e in certo senso anche scontato che l' accertamento delle responsabilità PERSONALI già rivelatosi difficile in epoca molto più prossima ai fatti sarebbe divenuto ora divenuto impossibile come ha onestamente dichiarato il Procuratore Maas il quale, malgrado le sue buone intenzioni, non ha potuto far altro che prenderne atto archiviando l'istruttoria.e, sfortunatamente per lui, entrando nel mirino dei mestatori di professione della vicenda.
    Ciò sulla base del su ricordato principio dello 'ius gentium' che informa di sé tutte le legislazioni del mondo civile secondo cui "la responsabilità penale è personale" e di conseguenza non è assolutamente possibile dare inizio ad azioni penali senza aver preventivamente accertato le circostanze di cui sopra.
    Ma questi sono dati che alle orecchie di certe persone ignoranti (di diritto) e dedite -per motivi politici- ad una ormai anacronistica guerra contro il nazifascismo non vanno a genio come non va giù il fatto che la strage di 5000 soldati prima e dopo la resa non sia avvenuta in tali proporzioni, avendo pagato le conseguenze dell'ORDINE DI RESISTERE inviato al gen. Gandin dal governo Badoglio fuggiasco a Brindisi, soltanto gli Ufficiali considerati responsabili dell'esecuzione di tale dissennato ordine contro i quali si scatenò una caccia all'uomo culminata nelle fucilazioni di 137 di loro alla famigerata Casa Rossa.
    Il resto -per dirla con il prof. Rochat- sono solo "invenzioni di gente che non ha senso storico e somma tutte le cifre possibili" allo scopo -aggiungo- di ingrandire a dismisura i fatti creando su di essi un Mito ormai insostenibile essendo frattanto divenuto di dominio PUBBLICO che le esecuzioni posteriori alla resa furono 'fortunatamente' limitate agli Ufficiali senza escludere anche pochi altri appartenenti alla truppa come ad es. i 17 marinai che avevavo trasportato i corpi degli ufficiali fucilati furono assassinati per non farli parlare.
    In ogni caso -come ho scritto e confermo- ho potuto accertare nella mia ultima fatica "I Caduti di Cefalonia: fine di un Mito"che parlare di 5, 6000 o più fucilati dai tedeschi è un autentico FALSO STORICO di cui tutte le persone dabbene sono ormai consapevoli a differenza dei signori della menzogna -dediti ad un'anacronistica lotta contro l'ormai defunto nazifascimo- ai quali non va giù che le loro bugie in ordine al delicato punto siano state smascherate e sbraitano e sbraiteranno contro il complotto ordito ora 'anche' dal dr. Maas da loro già esaltato come magistrato di sicura 'fede democratica' a differenza del 'nazistoide' dr. Stern che a Monaco ha usato -non potendo fare diversamente- lo stesso metro di decisione.
    Ma come è risaputo a costoro non piacciono i processi penali fondati sulla 'responsabilità personale' degli imputati ma.quelli collettivi di staliniana memoria in cui -come nelle fosse di Katyn- venne sterminata (addossando la colpa ai nazisti) l'intera ossatura dell'esercito polacco (circa ventimila militari) sulla base di un processo collettivo di eliminazione dell'avversario tipico dei regimi comunisti cui la loro malsana ideologia fa riferimento anche nell'intestazione del partito cui essi appartengono.
    Mi auguro che in omaggio alla verità storica pubblichiate la presente..
    Distinti Saluti

    Massimo Filippini
    orfano del magg. Federico Filippini fucilato il 25 settembre 1943 a Cefalonia

  • Tony Codraro scrive:

    Concordo perfettamente tutto quanto scritto da Cimalex2007. La tragedia di Cefalonia non e' stata solo la perdita di tante vite umane ma e' stata anche la perdita dell'onore di quei soldati che hanno avuto solo il torto di aver ubbidito agli ordini dell'ufficiale comandante che con il suo comportamento errato ha portato questi soldati ad un sacrificio inutile. Sarebbe stato molto onorevole affiancarsi ai soldati tedeschi che ne avevano offerto l'opportunita' e proseguire insieme quel percorso a suo tempo stabilito. Morire con onore al loro fianco sarebbe stato molto meglio che morire con disonore, perche' questo e' stato il risultato di un tradimento nei confronti dei tedeschi.
    Mi risulta con notevole certezza che l'ex presidente Ciampi a suo tempo giovane ufficiale sia stato anche in quel periodo nel territorio di Cefalonia e ne fosse il comandante degli auto trasporti. Come mai il giovane ufficiale Ciampi e' potuto scampare alla tragedia che tutti conosciamo? In quale periodo esattamente il giovane ufficiale Ciampi e' stato in Cefalonia e dietro quali ordini ha potuto lasciare Cefalonia in un periodo ove gia' si intravedeva la sconfitta da parte delle truppe occupanti colpite pesantemente dai partigiani Greci che hanno lottato per liberare la propria patria? Mi farebbe piace se qualcuno mi fornisse chiarimenti a riguardo dell'ex ufficiale Ciampi.
    Tony Codraro

  • cimalex2007 scrive:

    La sentenza su Cefalonia sicuramente non fa onore al Governo tedesco e nemmeno ai responsabili tuttora impuniti delle unita' della Wermacht che parteciparono al massacro. Ritengo comunque i primi e veri responsabili della tragedia dell'8 Settembre, e conseguentemente di Cefalonia, i reali di casa savoia (volutamente li ho indicati in minuscolo) veri e propri traditori nei confronti del popolo e delle forze armate italiane che hanno pagato in primis quella tragedia.
    Non voglio assolutamente in alcun modo giustificare il barbaro comportamento delle truppe tedesche dopo l'8 Settembre, ma mi chiedo se fosse stato possibile un comportamento differente da parte loro, conoscendo la loro ferrea disciplina, in alcuni casi il fanatismo e la catena di comando (che faceva sempre comunque capo ad Hitler, vedi anche il dopo Via Rasella), e l'assoluta mancanza di iniziative diciamo umane nei confronti del nemico, delle popolazioni occupate o delle nostre truppe, passate in un giorno da alleati a nemici.
    Di tutto questo, e delle tragedie patite in seguto, dobbiamo ringraziare i signori di casa savoia, che a partire dal giorno della marcia su Roma permisero a Mussolini di fare tutto quello che ben conosciamo.
    Infine da italiani con la i minuscola, abbiamo permesso ai loro eredi di tornare nel bel paese e nemmeno un anno dopo il loro trionfale rientro abbiamo assistito a tutta una serie di scandali e strascichi giudiziari che hanno ben poco di "reale".
    La sentenza secondo me, e' stata inquinata dal fatto che teniamo, unico paese al mondo, un prigioniero per crimini commessi durante la II guerra mondiale (vedasi il Tenente Priebke).
    Se volevamo una sentenza equa dovevamo comportarci prima di tutto da paese normale, mentre da noi sembrano riemergere continuamente i fantasmi del passato, che per calcoli e tornaconti politico-ideologici non si vuole affrontare con obbiettivita' ma semmai con un mai sopito rancore.

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