Istantanea Pier Vittorio Buffa

La lettera di Sergio Dini al ministro della Difesa

Egregio Sig. Ministro,

 

                                   ricorrendo il prossimo anno il centenario dell’ingresso dell’Italia nella I^ Guerra Mondiale sembrerebbe a chi Le scrive la contingenza favorevole per adottare un provvedimento clemenziale postumo a favore dei soldati italiani che in quella Guerra persero la vita per fucilazione.

            Come la S.V. saprà furono circa 750 i militari italiani fucilati in esecuzione di sentenze dei Tribunali Militari di Guerra, mentre a tutt’oggi imprecisato risulta il numero dei fucilati a seguito di “decimazioni” o comunque vittime di “esecuzioni sommarie”. Questi soldati hanno fino ad oggi subito una sorta di “damnatio memoriae” non essendo i loro nomi inseriti in alcun monumento ai caduti, neppure in quelli dei rispettivi paesi natali, né avendo trovato spazio in quella sorta di luttuosa memoria collettiva costituita dagli elenchi nominativi dei caduti e dispersi curati e redatti da Onorcaduti.

            Ebbene riteniamo sia veramente giunto il momento di riammettere quei soldati nel seno della Nazione, analogamente peraltro a quanto in tal senso hanno già fatto, nel corso dell’ultimo decennio, tanto la Francia quanto la Gran Bretagna.

            In passato vi è stata, Sig. Ministro, una iniziativa di taluni discendenti di soldati condannati a morte e fucilati (il riferimento è all’episodio della fucilazione di quattro alpini, a Cercivento, in Carnia, in data 1° luglio 1916, episodio ed iniziativa di riabilitazione su cui è stato altresì scritto un bel libro “La fucilazione dell’alpino Ortis”, Mursia 1999).

            Quel tentativo di addivenire, per via giurisdizionale, ad una riabilitazione postuma di alcuni condannati a morte è tuttavia naufragata per ragioni di stretto diritto positivo, così come in effetti adeguatamente modificato dal Tribunale Militare di Sorveglianza nel suo decreto di rigetto del 5 novembre 1990.

            La soluzione che proponiamo alla S.V. sarebbe per contro quella di adottare un “provvedimento clemenziale” di carattere generale, a favore di tutti i condannati a  morte del I° conflitto mondiale.

            Del resto, Sig. Ministro anche i caduti sotto il fuoco di un plotone d’esecuzione sono morti in guerra, e (perché no?) sono morti “per la Patria”; essi furono mobilitati contro la loro volontà, per una guerra di cui non ben comprendevano gli scopi, come fu per la maggior parte dei morti in combattimento o in prigionia.

            E come loro avevano patito la fame e il freddo, il fango delle trincee e i pidocchi, e la quotidiana incombente presenza di una morte impersonale. Fino al sacrificio finale, loro imposto come per tutti gli altri, per arrivare alla vittoria. Non si dimentichi infatti la peculiare funzione di “prevenzione generale” insita in tali condanne capitali e nelle stesse modalità di loro esecuzione, che dovevano servire in primis a dare alla generalità dei combattenti un “esempio terroristico” che scoraggiasse analoghi comportamenti. Quelle fucilazioni quindi, da un punto di vista strettamente utilitaristico ebbero un senso e contribuirono, in certo modo, alla vittoria finale. In Francia non per niente questi disgraziati sono indicati con l’espressione “fusilès pour l’exemple”: anche a queste vittime di guerra, a quello che fu il loro sacrificio e contributo, va riconosciuto il ruolo e la dignità di “caduti per la Patria”.

 

 

Il Pubblico Ministero

   Dott. Sergio Dini

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