“Per fortuna che l’hanno trovato morto”

Reggio Emilia. Un bambino di origine pachistana muore annegato in un canale. Un uomo di 37 anni, sulla pagina Facebook della Gazzetta di Reggio, commenta così la notizia della sua morte: "Per fortuna che l'hanno trovato morto, se no ci toccava mantenerlo". Il giornale rimuove il testo ma ormai tutto è successo. Il terribile commento diventa virale, gira in rete, viene ampliato, strumentalizzato. Giuseppe Boi racconta tutto, nel dettaglio, in questo articolo intitolato "Il leone da tastiera si pente" che si conclude così: "Ricordiamoci tutti la logica dei social: nulla si crea e nulla si distrugge, ciò che facciamo resta per sempre ed è visibile a tutti".

Un concetto che va sottolineato, rafforzato, articolato. I social, Facebook davanti a tutti, hanno cambiato la nostra vita. E la migliorano giorno dopo giorno perché fanno circolare idee e notizie, emozioni e dolori, paure e gioie. La loro potenza, lo sappiamo, è straordinaria. Ma proprio perché sono potenti vanno saputi usare. Scrivere su Facebook non è come parlare al bar tra quattro amici. E' come andare in una piazza, salire su un palco, prendere il microfono e dire quello che si pensa a centinaia, migliaia di persone. Quando una parola è detta, è detta. Chi l'ascolta ne farà l'uso che crede e la storia di Reggio è solo una conferma di questa inevitabile catena.

Quell'uomo, prima di scrivere "Per fortuna che l'hanno trovato morto", doveva immaginarsi di urlare le stesse parole in un microfono, nella piazza principale della propria città piena di gente, in diretta radio e televisiva. Probabilmente, anzi, sicuramente, sarebbe rimasto in  silenzio.

Ecco, quando scriviamo in rete facciamo anche noi questo esercizio, immaginiamoci in quella piazza.

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