La grande Vittoria

In questo periodo sto conducendo un’esistenza schizofrenica.

Da una parte sono immerso, per un progetto al quale sto lavorando, nella lettura di decine di diari di soldati che hanno combattuto cent’anni fa sul Carso e sulle Dolomiti.

Dall’altra seguo come sempre, giorno dopo giorno, quel che accade in Italia e nel mondo.

Sul Carso e sulle Dolomiti reggimenti e battaglioni stavano fermi mesi nella stessa trincea, o avanzavano e arretravano di pochi metri. Lasciando nella terra di nessuno morti su morti. Poi la grande Disfatta, consumatasi in pochi giorni, e la grande Vittoria, conquistata ugualmente in pochi giorni, anche se preparata per tempo e con cura.

Come alzo la testa da quelle pagine scritte con ordine, con molti “ò” al posto di “ho” e con molti “meco” al posto di “con me”, resto a bocca aperta vedendo come tutto stia scorrendo veloce come non si è mai visto.

Auto blu: via.

Superstipendi: via.

Senato: via.

Province: via.

Porcellum: via.

Quasi un sogno, un bellissimo sogno che si sta realizzando dopo decenni e decenni.

Poi torno a leggere. Stamattina ero sull’Adamello con un sottotenente degli alpini che raccoglie fiori da mandare a casa e che descrive le sue battaglie con il distacco e la calma del bravo cronista. Da lassù, mentre il sottotenente descriveva i mucchi di morti “che puzzavano orrendamente”, ho letto gli ultimi sondaggi, del Pd in testa, di Matteo Renzi che punta al 40 per cento.

E il parallelo mi è venuto spontaneo.

La nostra grande Disfatta, noi del Duemila, l’abbiamo già subita. Preparata da un popolo che ha lasciato che una classe dirigente pensasse più al proprio tornaconto che al bene comune.

Ora dobbiamo conquistarci la grande Vittoria. Che, come avvenne cent’anni fa, va preparata con grande cura. E non può essere il problema di uno solo, di Matteo Renzi e dei suoi, appunto. Così come, cent’anni fa, la grande Vittoria non fu problema solo di Armando Diaz.

A chi non piacciono, come in parte non piacciono neanche a me, la velocità e l’apparente faciloneria con quale il presidente del consiglio sta agendo, deve fare uno sforzo e andare oltre. E contribuire, per quelle che sono le sue capacità, alla grande Vittoria.

Utopia? Forse, ma vale la pena cercare di perseguirla.

 

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