Il giorno della foto di Licio Gelli

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Quando Andrea Iannuzzi (direttore dell'Agl, l'agenzia centrale del gruppo di cui fa parte il giornale che ospita questo blog) mi ha chiesto un articolo su Licio Gelli la mia memoria è andata immediatamente a quel giorno. Il giorno in cui incontrai il maestro venerabile in tribunale: io imputato, lui querelante. Il giorno in cui venne scattata la prima fotografia di Licio Gelli pubblicata dai giornali.
Ecco l'articolo.

Era la primavera del 1977. Licio Gelli arrivò al secondo piano del palazzo di giustizia romano, a piazzale Clodio, accompagnato solo dal suo avvocato. In giacca e cravatta, senza soprabito. Nell’aula di tribunale, quel giorno, non entrò come imputato ma come parte civile in un processo per diffamazione che aveva intentato contro di me e il direttore dell’Espresso, Livio Zanetti, per un articolo uscito l’anno prima.

Nessuno aveva previsto che quell’uomo misterioso, di cui si andava poco a poco scoprendo l’inquietante biografia, si presentasse davvero davanti ai giudici. I nostri avvocati non lo avevano nemmeno ipotizzato e io restai sorpreso nel trovarlo in tribunale. Non ci presentammo, ciascuno si sedette dalla propria parte e l’udienza durò un battito di ciglia. Ma avevo davanti Gelli, io non lo avevo mai visto in faccia perché non erano mai state pubblicate sue fotografie. Così, prima che il giudice ci convocasse, infilai un gettone nel telefono pubblico più vicino e chiamai un amico che abitava a Corso Francia, Andrea Ponticelli. In quel momento faceva il fotografo, poi nella vita ha fatto tutt’altro. Arrivò in tempo, quando Gelli ancora passeggiava nell’ampio corridoio, e scattò. Una, due, tre volte. Il mio amico stampò uno di quegli scatti, con il maestro venerabile della loggia P2 preso di tre quarti. Lo vendette per poche migliaia di lire a qualche giornale e poi cambiò mestiere.

Ma Gelli aveva costruito intorno a sé una barriera così robusta che quell’immagine rubata a piazzale Clodio restò l’unica in circolazione. Anno dopo anno appariva sempre più spesso sui giornali italiani poi, dopo la scoperta degli elenchi della P2, nel 1981, la rividi su quotidiani e settimanali di tutto il mondo. Era diventata l’icona del malaffare italiano, l’icona di un mondo che agisce nascondendosi, l’icona delle consorterie che cercano di governare dall’ombra i destini di un paese. L’articolo che aveva spinto Gelli a querelare l’Espresso e a salire i gradini di piazzale Clodio era un normale articolo scritto da un giovane cronista che era andato in giro a documentarsi.

Nessuno scoop, niente documenti riservati. Solo notizie messe in fila. Rileggendole oggi monta una gran rabbia. Se un cronista poteva scrivere, nel 1976, che la loggia P2 di Gelli aveva ramificazioni in tutto il mondo e che era, probabilmente, una sorta di potente e segreto collegamento tra gruppi eversivi e potentati economici, come poi è stato dimostrato, vuol dire che la loggia P2 era molto, molto di più. Se un cronista poteva scrivere queste cose con così tanto anticipo rispetto all’esplodere vero dello scandalo, vuole anche dire che la trama di menzogne che ha accompagnato tutta la vicenda della P2 era fitta e robusta.

Chi era andato a prestare giuramento a Gelli, nella sua famosa suite dell’Excelsior, come ha poi potuto dire che non immaginava cosa veramente fosse la P2? A cadere dalle nuvole? Quello che i giornali avevano anticipato era, del resto, diventato anche materia di inchieste giudiziarie. Una per tutte quella di Bologna dove, nella seconda metà degli anni Settanta, si indaga sulla strage del treno Italicus (4 agosto 1974). Il giudice istruttore Angelo Vellaapprofondisce eventuali connessioni tra la loggia e gli autori della strage.

Non emergono fatti di rilevanza penale ma Vella scrive nella sua ordinanza (l’Espresso ne dà notizia nel settembre 1980, quindi prima del ritrovamento degli elenchi) che la “P2 è all’epoca dei fatti il più dotato arsenale di pericolosi e validi strumenti di eversione politica e morale; e ciò in incontestabile contrasto con le proclamate finalità statutarie della istituzione”. Come si poteva, dunque, non sapere? Come si poteva pensare di iscriversi a qualcosa di simile a una bocciofila? Della lista della P2 trovata a Gelli e diffusa nel maggio 1981 facevano parte 962 persone. Comprendeva ministri e sottosegretari in carica, generali dei carabinieri, della Guardia di Finanza, dell’esercito, dell’aeronautica, della marina. E poi Silvio Berlusconi, Vittorio Emanuele di Savoia, Maurizio Costanzo… e tanti, tanti altri.

 

 

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