Demagogia

L’altra sera ho seguito con grande attenzione la prima volta di Beppe Grillo da  Bruno Vespa. E ho aspettato qualche giorno prima di cercare di fare qualche riflessione. Per non cedere agli impulsi del momento, per lasciar sedimentare impressioni ed emozioni.

Belli slogan, efficaci battute. Considerazioni condivisibili sulla necessità di mandare a casa politici corrotti, di costruire una classe politica sana.

Ma per fare cosa? Grillo, come in tanti hanno osservato, non ha illustrato proposte, non ha indicato coperture finanziarie per cose belle come il reddito di cittadinanza, non ha risposto alle garbate ma precise domande, non ha controbattuto con fatti concreti ai paterni “Ma dai su…”  di Vespa. E se un leader non ha idee chiare su cosa fare, non sa spiegare cosa farebbe se dovesse andare al governo io non mi fido.

Perché la politica dovrebbe essere l’arte del costruire, non del distruggere. E costruire è più faticoso e rischioso. Vuol dire mettere in conto  l’impopolarità, affrontare i problemi concreti, proporre ciò che si sa, o si immagina, realizzabile.

Altrimenti è demagogia, cioè la “pratica politica tendente a ottenere il consenso delle masse lusingando le loro aspirazioni specialmente economiche, con promesse difficilmente realizzabili” (Vocabolario Treccani). O, secondo al definizione di Tullio De Mauro (Grande dizionario italiano dell’uso), la ”ricerca del consenso politico ottenuto sfruttando le passioni e i pregiudizi delle masse”.

 

 

 

 

 

 

 

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