Istantanea » Terrorismo http://buffa.blogautore.repubblica.it Just another Blogautore.repubblica.it weblog Wed, 11 Jul 2018 15:14:30 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=3.8.27 Terrorismo e memoria http://buffa.blogautore.repubblica.it/2017/01/17/terrorismo-e-memoria/ http://buffa.blogautore.repubblica.it/2017/01/17/terrorismo-e-memoria/#comments Tue, 17 Jan 2017 08:59:54 +0000 http://buffa.blogautore.repubblica.it/?p=2591 genovaIeri, 16 gennaio, ero a Genova in una scuola, la Firpo-Buonarroti, a parlare di terrorismo, del terrorismo che ha attraversato il nostro paese negli anni Settanta e in parte degli anni Ottanta. Caterina Gallamini e Simona Cosso, docenti dell'istituto, mi avevano invitato come coautore di Mara, Renato e io, il libro che scrissi nel 1988 insieme a Franco Giustolisi per raccontare la storia di Alberto Franceschini, uno dei fondatori delle Brigate rosse.

Un'aula magna silenziosa e attenta. Centocinquanta ragazzi che avevano letto e studiato. Soprattutto riflettuto. E, di conseguenza, le domande sono state appropriate e intelligenti. Hanno voluto sapere dettagli, conoscere sensazioni, approfondire scenari. Ma c'è una cosa che mi ha colpito e sorpreso e che, quindi, mi sembra giusto condividere: una questione che i ragazzi hanno posto più volte, in modo non necessariamente esplicito. Ma perché si parla così poco di quegli anni? Perché non si trovano con facilità libri esaurienti? Perché non c'è nei programmi di scuola?

Gli studenti hanno ragione. Riferendoci alla storia del secolo corso si parla più di Grande Guerra o di sbarco in Normandia che del terrorismo italiano. Eppure quegli anni, a ripensarli e a ricostruirli in pochi minuti davanti a 150 studenti, fanno venire i brividi. Hanno creato dolore e lacerazioni, lasciato dietro di sé una scia profonda. Così profonda che non accenna a sparire.

Chi ha davvero ucciso Moro? Ma c'era davvero un filo rosso che legava le Brigate rosse ai partigiani? E' stata davvero una guerra? Domande alle quali possiamo rispondere solo con opinioni più o meno argomentate.

Ecco, è questo il punto. Con il  terrorismo (come, in parte, con gli anni bui della guerra in Italia del 1943-1945), non abbiamo ancora fatto i conti fino in fondo. Non abbiamo trovato, come si dice, una memoria condivisa. E' come se il dolore, gli odi, le ambiguità di allora fossero ancora tra noi.

Quante generazioni dovranno ancora passare? Per quanto tempo ancora i diciottenni dovranno chiedersi e chiedere: ma perché non ci spiegate per bene cosa accadde?

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Caporetto http://buffa.blogautore.repubblica.it/2017/01/01/caporetto/ http://buffa.blogautore.repubblica.it/2017/01/01/caporetto/#comments Sun, 01 Jan 2017 13:00:58 +0000 http://buffa.blogautore.repubblica.it/?p=2588 istanbulCerto che  aprire gli occhi sul nuovo anno con le notizie che arrivano da Istanbul trasmette sensazioni molto forti. Disagio, precarietà, paura, impotenza, rabbia... Forse sono queste ultime due a prevalere, almeno per me.

L'impotenza è quella di percepire come questa guerra in corso si combatta ovunque e contro tutti. Ovvio, viene da osservare, lo si sa da anni. Ma quel babbo natale armato di mitra (nella foto) che semina morte invece che regali dà a questa sensazione, con la quale conviviamo da tempo, una forza inusitata. Come se il travestimento scelto dall'assassino simboleggiasse il ribaltamento di ruoli, l'abbattimento di qualunque punto di riferimento. E noi siamo nelle nostre case attoniti, senza poter far nulla di concreto.

La rabbia è diretta conseguenza dell'impotenza. Quando accadono cose del genere vedi rimpiccolirsi tutto quello che negli ultimi giorni è stato per te importante. Discussioni, problemi, animosità... Tutto sparisce, diventa minuscolo. Ma la rabbia,  se non le si da uno sbocco, consuma, corrode, alla lunga uccide. Bisogna trasformare la rabbia in forza positiva. E questo non lo vedo accadere.

L'ultimo anno che finiva con il 17, il 1917, è rimasto scolpito nella storia del nostro paese come l'anno di Caporetto, l'anno in cui austriaci e tedeschi travolsero gli italiani e in pochi giorni li ricacciarono dalla Slovenia al Piave. Non è bello fare paragoni con una guerra in cui morirono centinaia di migliaia di persone. E non mi piace parlare di vittorie e sconfitte belliche come si fosse a un tavolo da gioco. Ma lo faccio lo stesso, e chiedo scusa in anticipo, perché mi sembra che il parallelo con Caporetto faccia capire meglio di tanti giri di parole quello a cui sto pensando da quando ho letto la notizia di Istanbul.

Caporetto determinò  negli italiani la disperazione per la sconfitta e un senso diffuso di impotenza e rabbia. La rabbia, per tutta una serie di ragioni, riuscì a tramutarsi in una forza positiva  e dare energia alla riscossa degli italiani e alla vittoria finale.

Ecco, l'augurio per possiamo farci per questo 2017 iniziato così è che la rabbia di Istanbul si possa tramutare in una forza positiva. Non per seminare altra morte, come fu nel 1917, ma per fare un passo verso un  mondo più giusto e sereno. Se un augurio del genere, banale e utopico quanto si vuole ma che viene spontaneo, non ce lo facciamo un primo gennaio quando mai ce lo potremmo fare?

Auguri!

 

 

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La giustizia secondo Torquato http://buffa.blogautore.repubblica.it/2016/08/02/la-giustizia-secondo-torquato/ http://buffa.blogautore.repubblica.it/2016/08/02/la-giustizia-secondo-torquato/#comments Tue, 02 Aug 2016 09:07:49 +0000 http://buffa.blogautore.repubblica.it/?p=2543 Bologna Station Blast TrialOggi, 2 agosto 2016, 36 anni dopo la strage alla stazione di Bologna, voglio ricordare un uomo eccezionale che ho potuto conoscere e frequentare: Torquato Secci.

Quel giorno, alla stazione, morì suo figlio Sergio.

Da quel giorno Torquato ha speso tutte le sue energie per avere verità e giustizia. Fonda l'associazione tra i familiari delle vittime. Ne diventa presidente e animatore.

Dice sul piazzale della stazione il 2 agosto 1981: "Per loro (per le 85 vittime, Ndr) vi è solo silenzio poiché dopo un anno non gli è stata ancora resa giustizia".

Ripete dopo un anno: "Oggi rinnoviamo agli uomini di Governo, con maggiore fermezza, la richiesta di rimuovere gli ostacoli che ancora intralciano il cammino verso la verità che cerchiamo. A noi, sino a questo momento, è stata negata giustizia; la patria del diritto non può permettere che la legge non sia uguale per tutti".

E così, anniversario dopo anniversario, fino al 1995. L'anno dopo, in aprile, Torquato muore senza conoscere quella verità che aveva cercato con lucida e disperata energia.

Lucida perché mai una volta l'ho visto perdere il controllo di sé. Accusava con forza ma pacatamente. Con cognizione di causa ma usando con abilità le sue affilate armi verbali.

Disperata perché aveva forse capito che non  avrebbe mai saputo quel che era davvero successo il 2 agosto. Ma continuava a lottare giorno dopo giorno, ora dopo ora.

E, se oggi fosse qui con noi, Torquato combatterebbe ancora. Perché dopo 36 anni, anche se ci sono dei condannati all'ergastolo come autori materiali dell'attentato, la verità su quell'atto terribile è ancora lontana e giustizia, quella che voleva Torquato, non è stata fatta.

La giustizia che pretendeva è quella che dovrebbe pretendere ciascuno di noi, quella per cui ciascuno di noi dovrebbe lottare. La giustizia che uno Stato sa dare rimuovendo tutti gli ostacoli che consentano di conoscere la verità dei fatti. E questo, negli anni bui delle stragi, non è accaduto.

 

 

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La guerra vista da lontano http://buffa.blogautore.repubblica.it/2016/03/25/la-guerra-vista-da-lontano/ http://buffa.blogautore.repubblica.it/2016/03/25/la-guerra-vista-da-lontano/#comments Fri, 25 Mar 2016 20:03:33 +0000 http://buffa.blogautore.repubblica.it/?p=2505 Per la prima volta nella vita mi è capitata una cosa terribile ed eccezionale. Assistere a quello che è successo nel cuore dell'Europa a 13000 chilometri di distanza, dall'altra parte del mondo e senza efficienti strumenti di comunicazione.

Terribile perché la lontananza ti trasmette un senso di impotenza. Non perché se fossi stato a Roma avrei potuto fare qualcosa. Ma perché sembra di essere fuori dal tuo mondo. Senza possibilità di essere vicino a chi si trova direttamente coinvolto. Senza poter condividere un momento così cruciale con le persone con le quali, fino a oggi, hai condiviso tutto.

Eccezionale perché sapere di bombe e kamikaze mentre ti trovi immerso in una natura che vive solo per se stessa provi un senso di sgomento mai provato prima. Perché capisci, con la forza che il contrasto tra la morte e la vita che qui scorre placida ti da, che c'è una guerra in corso.

Così ti viene una gran voglia di restartene lontano. Voglia subito scacciata dalla consapevolezza che il tuo mondo è quello di Bruxelles, dell'Europa, e che è lì che devi vivere la tua vita, non ne puoi e non ne devi fuggire. Perché quando c'è una guerra che coinvolge il tuo mondo, il tuo paese non si fugge. E questa è proprio una guerra che riguarda ciascuno di noi.

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La nostra guerra http://buffa.blogautore.repubblica.it/2015/12/07/la-nostra-guerra/ http://buffa.blogautore.repubblica.it/2015/12/07/la-nostra-guerra/#comments Mon, 07 Dec 2015 13:05:30 +0000 http://buffa.blogautore.repubblica.it/?p=2468 151207_D8E4189

Per due giorni ho passeggiato tra i resti delle trincee della prima guerra mondiale, tra il Carso, il Sabotino e il Monte Santo. Nel guardare e toccare quei sassi  (nella foto un tratto della trincea delle Frasche, sul Carso), nell'osservare i varchi attraverso i quali i cannoni sparavano, nel consultare cartine che spiegavano attacchi e ritirate non sono stato attratto dalla voglia di ricostruire battaglie o ricordare singoli episodi. Perché mentre ero lì, immerso in un silenzio profondo e denso, pensavo più alla strage di San Bernardino e a quella del Bataclan che alle stragi di fanti e bersaglieri.

Eppure della guerra di un secolo fa stavo avendo una percezione concreta, direi tattile. Potevo descrivere a me stesso l'orrore di allora, immaginare la terra insanguinata e il rombo delle artiglierie. Fu una guerra guerra. Tutti lo sapevano un  secolo fa, tutti lo hanno saputo per i decenni successivi, tutti lo sapranno per i secoli a venire.

Poi sono arrivato al cippo Slataper, lungo la strada che sale sul Calvario-Podgora. Il piccolo monumento ricorda i due Slataper, padre e figlio, uno ucciso su quel piccolo monte nel 1915, l'altro ucciso in Russia nel 1943. Due storie individuali emblema delle sofferenze di due generazioni. Lì davanti sono rimasto più del necessario e dentro di me hanno iniziato a girare ancora più vorticosamente le immagini di queste ultime settimane.

Quella che stiamo vivendo sarà mai ricordata come una guerra guerra? Siamo davvero coscienti, tutti noi, che quello che sta accadendo non è una cosa "altra" rispetto alla nostra vita, al nostro presente e al nostro futuro?

Conservando i campi dove ci si uccideva un secolo fa, passeggiandovi, portandovi amici e scolaresche si coltiva la memoria. Ma coltivare la memoria senza trarne forza per capire il presente e agire di conseguenza è un esercizio sterile.

Quella che stiamo vivendo è una guerra vera, la nostra guerra. Una guerra senza fronti delineati e senza mappe militari. Una guerra che non si combatte solo con mitra e bombe, ma alla quale può partecipare ciascuno di noi senza bisogno di dare la vita come fecero gli Slataper.

Combattere, oggi, vuol dire non stare dalla parte di chi vuole radicalizzare il mondo, di chi vuol mettere i buoni (noi occidentali) da una parte e i cattivi (i musulmani senza molte distinzioni) dall'altra.

Combattere vuol dire sforzarsi di ragionare e  capire. Cercare di condividere principi e valori con più gente possibile, senza distinzioni.

Combattere vuol dire togliere forza a chi vuole odio. Perché l'odio porta con sé la morte e coltivandolo si combatte al fianco dei nostri avversari, che l'odio alimentano giorno per giorno..

 

 

 

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La guerra è contro il mondo http://buffa.blogautore.repubblica.it/2015/11/15/la-guerra-contro-il-mondo/ http://buffa.blogautore.repubblica.it/2015/11/15/la-guerra-contro-il-mondo/#comments Sun, 15 Nov 2015 09:49:58 +0000 http://buffa.blogautore.repubblica.it/?p=2463 AFP3809986_ArticoloLa rabbia tracima, la consapevolezza di trovarsi in mezzo a una guerra è sempre più forte. Mi guardo intorno e cerco qualcosa che possa indicare una via di salvezza, un qualcosa che rischiari il buio in cui sembra si stia precipitando.

Non lo trovo nelle scariche di odio rovesciate verso tutto quello che, anche solo da lontano, sa di islamico. Sono cresciuto con un concetto antico e semplice: odio genera odio. E quando posso cerco di interrompere quell'inesorabile catena.

Lo trovo invece nei milioni e milioni di islamici che, esattamente come noi, sono lontani migliaia di miglia dal terrorismo. Lo dicono, lo scrivono, scendono in piazza. E tutti dovrebbero ascoltarli di più, sentirli fratelli.

Se questa è una guerra non è una guerra di religione. Ma una guerra del terrorismo al mondo. E noi, tutti noi che vogliamo vivere in pace (musulmani, cristiani, atei, indu...), siamo il mondo.

 

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Vivere in pace http://buffa.blogautore.repubblica.it/2015/03/21/vivere-in-pace/ http://buffa.blogautore.repubblica.it/2015/03/21/vivere-in-pace/#comments Sat, 21 Mar 2015 11:49:41 +0000 http://buffa.blogautore.repubblica.it/?p=2405

#Tunis RT @RymKh: Devant le Théâtre, Avenue Bourguiba maintenant #BardoAttack pic.twitter.com/jfjAwmOdrV

— Robin Cornet (@robincornet) 18 Marzo 2015

Le immagini della manifestazione di Tunisi contro il terrorismo dovrebbero farci riflettere. Così come dovrebbe farlo il video che ha mostrato al mondo i deputati tunisini che, chiusi in parlamento durante l'attacco, cantano l'inno nazionale.

La riflessione è semplice, al limite della banalità. Ma diretta e forte. Il mondo non si sta dividendo tra arabi e non arabi. Ma si sta dividendo tra chi vuole imporre la legge del terrore e chi vuole vivere in pace.

E chi vuole vivere in pace deve difendere questo suo diritto. Non stando a guardare o chiudendosi in casa. Ma combattendo contro chi lo vuole sopprimere.
No, nessuna crociata, per carità. Ma vedere organismi elefantiaci come le Nazioni Unite restare immobili a condannare solo a parole fa venir voglia di chiederne l'abolizione. E viene anche voglia di andare a Bruxelles e dire: "Ma l'avete capito che l'Europa è sotto attacco perché sanno che non è capace di reagire con decisione? L'avete capito che le nostre frontiere meridionali non sono più in mezzo al mare ma sono in Africa? L'avete capito che i nostri alleati sono quei tunisini che sono andati in piazza e tutti coloro che vogliono vivere in pace?".
Post scriptum. Quando ho visto le foto della strage di Sana'a, nello Yemen, ho pensato ai ragazzini e alle ragazzine che avevo conosciuto in quel paese una decina di anni fa. E ai giovani uomini che avevano negli occhi il desiderio di vivere liberi e in pace, che stavano cercando di affacciarsi al mondo, di portare i prodotti della loro patria nelle capitali, di tenere lontano dalle loro vite il terrore. A tutti loro dedico una foto di allora.
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L'anforetta di Tobruch http://buffa.blogautore.repubblica.it/2015/02/17/lanforetta-di-tobruch/ http://buffa.blogautore.repubblica.it/2015/02/17/lanforetta-di-tobruch/#comments Tue, 17 Feb 2015 15:17:45 +0000 http://buffa.blogautore.repubblica.it/?p=2402 A casa, sullo scaffale di una libreria, ho una minuscola anfora dal sapore molto antico e con una etichetta su cui è scritta, a matita, un'unica parola: Tobruch. La riportò mio nonno, nel 1912, dalla Libia dove era andato a combattere e che era appena diventata italiana .

In questi giorni ho guardato spesso quell'anforetta, l'ho tolta dal suo posto e messa sulla scrivania, ho ripensato ai pochi racconti del nonno, sono andato a guardarmi qualche foto e a rileggere qualche pagina su quella conquista e su quello che ne seguì, soprattutto negli anni Venti e Trenta.

Probabilmente finirà davvero che soldati italiani sbarcheranno nuovamente in quella terra, questa volta non per occupare ma per difendere le frontiere meridionali dell'Europa e quelle del nostro paese. Ma la storia di allora e la storia recente dovrebbero avere insegnato che modelli sociali e politici non si esportano, che la pace non si impone, subito,  con le armi. Che la pace, caso mai, la si cerca mediando, aiutando, affidandosi alla forza della diplomazia, della politica. Solo se tutto questo non fosse sufficiente sarebbe forse legittimo usare le armi.

Ecco perché ha fatto bene Matteo Renzi a premere per un'azione diplomatica e quindi, indirettamente, a smentire i suoi ministri che avevano parlato di un'Italia "pronta all'intervento militare".

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"Non in mio nome" http://buffa.blogautore.repubblica.it/2015/01/11/non-in-mio-nome/ http://buffa.blogautore.repubblica.it/2015/01/11/non-in-mio-nome/#comments Sun, 11 Jan 2015 09:16:37 +0000 http://buffa.blogautore.repubblica.it/?p=2390 parma

Di questi giorni terribili e nelle ore in cui tutto il mondo si ritrova a Parigi per marciare contro il terrore c'è una piccola immagine che non dobbiamo dimenticare.
Viene da Parma (quella che pubblico è di Racas ed è tratta dall'edizione di Parma di Repubblica.it) e ritrae un gruppo di musulmani della città sceso in piazza con le bandiere della pace e con cartelli in tutte le lingue: "Non in mio nome, not in my name, pas en mon nom...".

Guardiamoli bene quei volti. Cogliamo il dolore che esprimono, il disagio, la paura. E il messaggio che ci mandano. Un messaggio semplice ma che rischia di essere disperso dalla violenza e dall'odio.

"Il mondo", ci dicono i musulmani di Parma, "non si divide tra musulmani e miscredenti, ma tra chi ama la vita e chi cerca solo la morte".

Lo sapevamo, ma grazie per avercelo ricordato, fatelo sempre.

 

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Andreotti e le Brigate rosse http://buffa.blogautore.repubblica.it/2013/05/07/andreotti-e-le-br/ http://buffa.blogautore.repubblica.it/2013/05/07/andreotti-e-le-br/#comments Tue, 07 May 2013 06:27:37 +0000 http://buffa.blogautore.repubblica.it/?p=1854 franceschiniGiulio Andreotti

Giulio Andreotti. In alto: Alberto Franceschini negli anni Settanta

Del progetto delle Brigate rosse di rapire Giulio Andreotti, morto ieri all'età di 94 anni, ne parlò per la prima volta, con me e Franco Giustolisi, il capo brigatista Alberto Franceschini, nel 1987. Ecco come ho ricostruito quel racconto in un articolo per questo giornale.

“Poi c’è la storia di Andreotti, di quando lo volevamo sequestrare”.

Primavera 1987, carcere romano di Rebibbia. L’ex capo delle Brigate rosse Alberto Franceschini inizia così a raccontare del sequestro mai avvenuto, del progetto brigatista che se fosse andato in porto avrebbe cambiato la storia d’Italia: il rapimento di Giulio Andreotti.

Con Franco Giustolisi stavamo raccogliendo i racconti di Franceschini, uno dei fondatori delle Brigate rosse, da cui sarebbe poi nato il volume “Mara, Renato e io”. Ricordo la nostra sorpresa nell’apprendere, per la prima volta, che le Br avevano avuto nel loro mirino il leader democristiano. Iniziammo con le domande, volevamo saperne il più possibile.

Piano piano il racconto si definisce nei dettagli. Prendono corpo date e luoghi. Si delinea l’immagine che i brigatisti avevano del capo dc.

Siamo nell’estate del 1974. A maggio si è conclusa, con il rilascio dell’ostaggio incolume, l’azione più clamorosa fino ad allora compiuta dalle Brigate rosse, il sequestro del magistrato genovese Mario Sossi.

È proprio Franceschini, che ha condotto l’azione Sossi, a puntare in alto, a ottenere il via libera dall’organizzazione per preparare la “cattura” di Giulio Andreotti. Argomenta Franceschini con noi: “Colpendo Andreotti avrei raggiunto un mio obiettivo di sempre, farla pagare alla Dc. E me lo sognavo fotografato con un rospo in bocca, di quelli preparati per le elezioni del 1948, da fare ingoiare ai democristiani”.

Franceschini arriva a Roma seguendo alla lettera le tecniche di mimetizzazione brigatiste. Alloggia nelle pensioni intorno alla stazione Termini. Arriva a mezzanotte, dà un documento falso, se ne va la mattina alle sei.

Poi i primi appostamenti e i primi pedinamenti.

Andreotti esce dalla sua casa di corso Vittorio Emanuele ogni mattina, molto presto, sempre alla stessa ora. Chi conosce quel pezzo di Roma può facilmente immaginarlo mentre cammina lungo il muro seguito dal giovane brigatista barbuto, forzatamente disinvolto, stupito, come ricorda lui stesso, di essere a Roma, nel cuore del potere. E stupito di essere a pochi passi da un uomo potente  come Andreotti che va a messa senza nessuno a proteggerlo. Il brigatista è diffidente, vuole verificare che non ci siano poliziotti o carabinieri nascosti. Va vicino ad Andreotti, lo sfiora, si volta per chiedergli scusa, lui lo guarda “con il suo sguardo ineffabile”. Nessuno interviene, il ministro della Difesa è proprio senza scorta.

È stato quello il momento in cui le Brigate rosse e Giulio Andreotti sono stati più vicini. Così vicini e in modo così semplice che Franceschini se ne torna al Nord convinto che il sequestro si possa fare. Parla con gli altri e ricorda: “Mi ascoltarono come se stessi raccontando una favola. Il potere era nelle nostre mani e tutto mi sembrava bello, facile, troppo facile”.

Arriva l’8 settembre 1974, il giorno in cui vengono arrestati lo stesso Franceschini e l’ideologo brigatista Renato Curcio. Il progetto di sequestrare Andreotti abortisce per trasformarsi dopo nemmeno quattro anni, e in tutto un altro contesto, nella strage di via Fani e nel sequestro e uccisione di Aldo Moro. Andreotti ne sarà, in un certo senso, ugualmente protagonista: il 16 marzo 1978, in una Roma silenziosa e attonita, presenta il suo quarto governo votato anche del partito comunista. Un’alleanza ritenuta, probabilmente a ragione, il vero obiettivo dell’”operazione Moro”.

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