Istantanea » Aldo Moro http://buffa.blogautore.repubblica.it Just another Blogautore.repubblica.it weblog Wed, 11 Jul 2018 15:14:30 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=3.8.27 Io, Berlusconi, sono come Moro http://buffa.blogautore.repubblica.it/2013/09/26/io-berlusconi-sono-come-moro/ http://buffa.blogautore.repubblica.it/2013/09/26/io-berlusconi-sono-come-moro/#comments Thu, 26 Sep 2013 08:37:59 +0000 http://buffa.blogautore.repubblica.it/?p=2009 Come Aldo Moro.

Non c'è dubbio che un comunicatore come Berlusconi Silvio non abbia scelto a caso il 55° giorno dopo la sentenza Mediaset per comunicare le notti di sonno e i chili persi.

Cinquantacinque giorni sono quelli della prigionia di Aldo Moro. I giorni più terribili dell'Italia repubblicana che si conclusero con un evento lacerante e traumatico, l'assassinio del leader dc che aveva creato il dialogo tra la Democrazia cristiana e il Partito comunista.

Avvicinare se stesso ad Aldo Moro e le proprie notti insonni a quelle che l'allora presidente della Dc trascorse nella prigione delle Brigate rosse è una scelta precisa.

E' un cercare di legare ancora di più le sorti personali a quelle del paese. Di allontanare  l'attenzione pubblica dalla realtà (una condanna per frode fiscale). Di trasformarsi con sempre maggiore virulenza in una vittima dei "comunisti", come Moro lo fu, appunto, delle Brigate Rosse.

C'è da sperare che nelle prossime ore i moderati che finora hanno sostenuto Berlusconi Silvio capiscano che è giunto il momento di separare le sorti dell'Italia da quelle personali di un uomo che sta arrivando al punto di non ritorno. Quello che ha indicato con i i 55 giorni di insonnia: "Non mi lascio uccidere da solo, porto tutti con me".

E in quel "con me" rischia di esserci ciascuno di noi. Comunque la pensi o l'abbia pensata finora.

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La missione di una foto http://buffa.blogautore.repubblica.it/2007/05/14/la-missione-di-una-foto/ http://buffa.blogautore.repubblica.it/2007/05/14/la-missione-di-una-foto/#comments Mon, 14 May 2007 11:36:52 +0000 http://buffa.blogautore.repubblica.it/2007/05/14/la-missione-di-una-foto/ dadullah.jpg

Nelle prime ore di questa mattinata almeno due persone, un conoscente incrociato al bar davanti a un caffé e un giornalista di vasta esperienza, mi hanno posto la stessa domanda: "Ma era proprio necessario pubblicare la foto del mullah Dadullah, la foto di un cadavere?". La prima volta, al bar, ho detto "sì", senza pensarci tanto e senza nemmeno argomentare. In redazione, al giornalista, ho detto ugualmente "sì" con la stessa rapidità, ma quando lui se ne è andato ho pensato fosse giusto motivare il mio si facendo diventare la foto del cadavere di Dadullah l'istantanea di oggi.
E' un sì che, in qualche modo, viene da lontano, dalle tante orribili immagini di cui è costellato il nostro passato. Nel dire sì, questa mattina, me ne sono ripassate davanti tante: il corpo di Aldo Moro sul tavolo dell'obitorio e quello del giudice Vittorio Occorsio, il capo della polizia sudvietnamita che fredda una supposta spia con un colpo alla tempia e l'esecuzione di Quattrocchi in Iraq, per citare solo quelle che mi sono tornate alla memoria nei secondi in cui ho bevuto il caffé. E se ci si mettese a fare un elenco probabilmente non si finirebbe mai.
Ciascuna di queste immagini, dure, violente, che si infilano negli anfratti della nostra memoria restandovi dentro per anni, ha avuto una sua funzione, ha svolto, come dire, la propria missione. Sono come degli anticorpi che, radicandosi in noi, dovrebbero allontanarci dalla violenza e dalla sopraffazione. Ecco, se ciascuna delle foto di cui stiamo parlando si fosse radicata anche in una sola persona la sua missione già sarebbe compiuta.
Questa foto del leader violento e crudele dei talebani ucciso in Afghanistan ha una missione più precisa. Far capire l'orrore di una guerra di civiltà, allontanare dal terrorismo e dalla violenza, spingere verso il dialogo. Un'utopia, lo so. Ma se, anche in questo caso, una sola persona lascerà che si compia la missione di questa foto vorrà dire che diffonderla e pubblicarla è stato giusto.
Per questo, probabilmente, ho risposto sì senza pensarci troppo, perché spero davvero che almeno una persona, in tutto il mondo, lasci fare a questa foto il proprio lavoro.

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La bicicletta e il terrorista scrittore http://buffa.blogautore.repubblica.it/2007/03/19/la-bicicletta-e-il-terrorista-scrittore/ http://buffa.blogautore.repubblica.it/2007/03/19/la-bicicletta-e-il-terrorista-scrittore/#comments Mon, 19 Mar 2007 14:19:19 +0000 http://buffa.blogautore.repubblica.it/2007/03/19/la-bicicletta-e-il-terrorista-scrittore/ bici-di-biagi.jpg

L’arresto in Brasile di Cesare Battisti, condannato a due ergastoli per reati di terrorismo, ha coinciso quasi perfettamente con il quinto anniversario dell’assassinio di Marco Biagi e con le polemiche sull’atteggiamento verso gli ex terroristi. E’ per questo che ho scelto la foto della bicicletta con cui Biagi andò incontro alla morte come istantanea del 19 marzo 2007.

Sono tre gli episodi che hanno preceduto questo 19 marzo.

L’intervista televisiva al fondatore delle Brigate rosse Alberto Franceschini realizzata in via Fani, la strada dove Moro venne rapito e la sua scorta massacrata. L’intervento di Renato Curcio, l’altro fondatore delle Brigate rosse, primia di un dibattito a Napoli. E infine l’arresto, appunto, di Cesare Battisti.

L’intervista a Franceschini ha provocato la protesta delle famiglie dei poliziotti e dei carabinieri uccisi in via Fani e il successivo appello del capo dello Stato a un più rigoroso rispetto dei familiari delle vittime del terrorismo.

Renato Curcio è stato insultato e spintonato. È stato, in sostanza, contestato il suo diritto a partecipare a quel dibattito in cui veniva presentato un libro della sua casa editrice.

Intorno a questi due episodi si è dunque innestata e, probabilmente resterà per un bel po’ sul tappeto, la discussione su quale sia il giusto atteggiamento verso gli ex-terroristi. È giusto che vengano intervistati, invitati a tenere conferenze, candidati, ed eletti, al Parlamento? In altre parole, la sovraesposizione di cui sono stati e sono protagonisti molti di loro è o no una mancanza di rispetto verso chi, a causa del terrorismo, ha molto sofferto?

Molti anni fa, visitando il carcere di Nuoro insieme a Franco Giustolisi conobbi Alberto Franceschini. Dopo un po’ di tempo gli proponemmo di raccontarci la sua storia e ne nacque un libro per Mondadori, Mara Renato e io, storia dei fondatori delle Brigate Rosse. Il primo in cui un capo brigatista si raccontava, l’unico, per quel che ne so, in cui si entra nella vita minuta dei primi brigatisti. Dopo l'uscita di quel libro Franceschini, che era un dissociato dalla lotta armata, andò al tavolo di diversi dibattiti, rispose a domande, parlò in televisione. E’ stato giusto? E’ stato sbagliato? Me lo sono chiesto tante volte in questi anni e le vicende di questi giorni mi hanno fatto mettere ancora una volta mettere questo problema sul tavolo. Mi sono risposto così.

È stato giusto perché Franceschini e tanti altri come lui sono la prova diretta e concreta del fallimento della follia terroristica. Portano sul volto i segni della disfatta e le loro parole di uomini sconfitti non possono che far bene alla nostra democrazia.

E’ stato sbagliato se anche una sola persona direttamente toccata dalla violenza si sente offesa dal semplice fatto che uno come Franceschini parli in pubblico, su un libro, in televisione. A lei deve chiedere scusa l’ex terrorista e chi gli ha dato voce: una, dieci, mille volte.

Ma non bisogna rinunciare a capire sempre di più, a togliere ogni velo da quegli anni, a mettere a nudo la follia che ha percorso un pezzo di generazione. Con equilibrio e serietà, tenendo sempre davanti a sé la bicicletta di Biagi e i lenzuoli bianchi di via Fani e di tutte le altre strade dove i terroristi hanno premuto i loro grilletti.

L’arresto di Battisti sposta ancora più avanti la discussione. Qui siamo di fronte a un ex terrorista latitante condannato a due ergastoli per aver ucciso. Lasciarlo libero in Brasile sarebbe stato gravissimo da parte di uno Stato giusto. E il solo parlare di amnistia, commentando il suo arresto, suona come una profonda mancanza di rispetto verso chi ha sofferto. E soffre ancora.

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